Hanno riaperto le scuole dopo cinque mesi e oggi la Nazionale esordisce in Coppa d’Africa: è una buona giornata per gli abitanti della Guinea, il Paese dove l’incubo è cominciato poco più di un anno fa nel tronco di un grande albero cavo, nella foresta intorno al villaggio di Meliandou.
Dal paziente zero, un bambino di due anni che probabilmente prese il virus giocando alla base della pianta infestata dai pipistrelli (vettori sani), al paziente numero 21.296 è stata tutta una corsa in salita per la gente di quei tre piccoli Paesi dell’Africa Occidentale. Adesso il popolo braccato da Ebola comincia a respirare: secondo gli ultimi dati forniti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) la seconda settimana di gennaio ha visto scendere i nuovi contagi a livelli mai registrati dall’inizio della scorsa estate. La Liberia, il Paese più colpito, adesso sembra quello messo meglio (un paio di giorni a metà mese senza nuovi malati). La Guinea, che a dicembre aveva picchi di 150 a settimana, è scesa a 42. In Sierra Leone la curva si è abbassata da 500 a 184, quasi azzerata nell’Est (Kailahun e Kenema) ma ancora abbastanza virulenta nella parte occidentale.
Soltanto la Guinea ha riaperto le scuole, pur nella diffidenza generale. All’entrata operatori con i termometri elettronici e disinfestatori in classe con la clorina, fuori le solite voci complottiste sulle autorità che cercherebbero di far ripartire l’epidemia con pozioni avvelenate. Molti genitori hanno tenuto i figli a casa, anche perché gli effetti collaterali del virus (catastrofe economica) fanno impennare la disoccupazione e non ci sono soldi per le rette scolastiche. Alunni senza scuola, bambini senza famiglia: per l’Unicef sono diecimila i minori che hanno perso uno o più genitori. Molti, racconta la Bbc , affrontano l’ostracismo delle comunità da cui sono allontanati come untori.
Non è ancora tempo di « ritorno alla normalità». Secondo le previsioni dell’Onu soltanto alla fine del 2015 l’epidemia potrebbe essere debellata. È presto per ottenere la patente di «virus free» sventolata ieri dal Mali (42 giorni, il doppio del periodo di incubazione, senza un contagio). Medici senza frontiere definisce «incoraggiante» la riduzione dei contagi pur mettendo in guardia «dall’imprevedibilità di questa epidemia: già in passato il numero di nuovi casi è diminuito per poi raggiungere un altro picco poco tempo dopo». Incoraggiante se da Freetown, uno dei 50 «hotspot» censiti dall’Onu, il fondatore di Emergency Gino Strada scrive su Facebook: «Forse ci siamo, forse si riesce a battere. Il numero di nuovi casi diminuisce rapidamente ogni giorno, speriamo non si registrino nuove impennate».
Cosa è cambiato? Poco sul fronte farmacologico: l’Oms fa sapere che i vaccini sperimentali cominceranno a essere introdotti nei Paesi colpiti tra fine gennaio e febbraio. È cresciuto il numero di posti letto e di operatori per il trattamento (idratazione, terapia intensiva etc) che dà tempo all’organismo di combattere la sua battaglia. È aumentata la capacità di tracciare, monitorare e isolare i sospetti. E la velocità di diagnosi: 27 i laboratori di analisi istallati nei tre Paesi. È cambiato che quasi 500 operatori sanitari hanno dato la vita per salvarne altre: 500 medici, infermieri e nessun calciatore; la Coppa d’Africa è cominciata in Guinea Equatoriale (il Marocco ha dato forfait per paura di Ebola) in un clima rilassato, virus free . Gyan, il capitano del Ghana (dove ha base la task force Ebola dell’Onu) ha mancato la partita d’esordio per malattia: malaria hanno detto i medici. I sintomi iniziali assomigliano a Ebola. Ma nessuno si è lamentato.
Se la curva dei morti fosse ancora in crescita, forse il capitano sarebbe stato spedito a casa, per sicurezza, con tutta la sua Nazionale.
Il Corriere della Sera – 20 gennaio 2015