Il giorno è arrivato: oggi pomeriggio, a Palazzo Ferro Fini, i consiglieri regionali saranno chiamati a votare la nuova legge elettorale, con gli aggiustamenti tecnici voluti dalla giunta, la doppia preferenza di genere chiesta dal Pd (su cui non sembrano esserci problemi) e soprattutto il limite di due mandati pensato da Leonardo Padrin di Forza Italia.
In commissione Affari istituzionali, com’è noto, maggioranza e opposizione hanno tentato di disinnescare la carica esplosiva dell‘iniziativa introducendo sì il limite, ma solo dalla prossima legislatura (con effetto, dunque, dal 2025 in poi), ma il capogruppo di Forza Italia non ci sta e oggi tornerà alla carica con un emendamento teso a ripristinare l’efficacia retroattiva della norma e cioè stop alla ricandidatura per chi già ora può vantare due o più legislature a Palazzo (sono 27 consiglieri su 60).
Per convincere i colleghi, da cui pretenderà il voto palese con appello nominale, Padrin ha chiesto un parere agli avvocati Vittorio Domenichelli e Giorgio Trovato, parere che va nella direzione diametralmente opposta rispetto a quelli resi finora dai costituzionalisti Mario Bertolissi, Luca Antonini e Sandro De Nardi, secondo i quali il limite retroattivo violerebbe il diritto all’elettorato passivo aprendo la strada ad una serie infinita di contenziosi. «A nostro avviso, invece, non si pongono problemi di costituzionalità – ha spiegato l’avvocato Trovato – e questo anche sulla base di alcuni rilevanti precedenti giurisprudenziali. Detto che il divieto di irretroattività vale solo per la norma che introduce una sanzione, mentre qui si stabiliscono semplicemente i requisiti di candidabilità, peraltro operanti solo dalla prossima legislatura e dunque pro futuro , rilievi simili a quelli sollevati in questi giorni furono discussi anche dopo l’approvazione della legge Severino del 2012, che prevede l’incandidabilità anche per chi abbia subìto una condanna penale prima del 2012. Ebbene, con due distinte pronunce, nel 2013. il Consiglio di Stato ha sostenuto la legittimità della legge Severino. Quanto alla lesione del diritto all’elettorato passivo, ricordo che quest’ultimo non è “assoluto”, tanto è vero che già oggi incontra delle limitazioni, ad esempio per i sindaci, i presidenti di Regione e gli assessori regionali».
La scelta, insomma, è tutta politica, come sottolinea il collega di Padrin, Renzo Marangon: «Non c’è alcun ostacolo costituzionale, come dimostra il precedente di Giulio Veronese, consigliere costretto a lasciare l’aula nel 1992, dopo un lungo contenzioso giudiziario, proprio perché una legge del 1991 aveva cambiato in corsa i requisiti di eleggibilità. La presunta incostituzionalità, insomma, è una foglia di fico». E difatti Padrin rimarca: «Io non sono un fine giurista ma se è incostituzionale oggi, perché non dovrebbe esserlo dal 2025?». Poi rilancia: «Se passerà questo emendamento credo che si dovrà intervenire anche sul limite già vigente per il presidente e i suoi assessori, per i quali la logica dev’essere la stessa: stop all’ingresso in giunta se uno ha già fatto due o più giri, senza rinvii di sorta».
Come andrà a finire lo si scoprirà oggi, nel frattempo Padrin annuncia che, comunque finisca, lui a maggio non si ricandiderà, coerentemente con la sua battaglia (anche se a Palazzo si sussurra insistentemente di un suo possibile ingresso nella futura giunta Zaia, come assessore “esterno” alla Sanità).
Marco Bonet – Corriere del Veneto – 20 gennaio 2015