Sono 6.782 i Comuni che potrebbero rivedere al rialzo le addizionali Irpef se a fine anno si spegnerà il congelatore dei tributi locali acceso tre anni fa. La ripresa riguarderebbe anche l’Imu sulle seconde case, dove sono 6.516 i sindaci che finora si sono fermati prima di arrivare all’aliquota massima del 10,6 per mille. In gioco ci sono poi le Irpef regionali, che davanti a sé avrebbero spazi per aumenti potenzialmente enormi dopo la cura ricostituente somministrata a suo tempo dal governo Monti.
L’ipotesi di dire addio al blocco delle aliquote locali non è di scuola. L’ha lanciata all’Assemblea nazionale Anci di Rimini la viceministro all’Economia Laura Castelli (M5S). E trova conferme accreditate anche nella Lega. Dove la svolta “sovranista” non ha spento la voce dell’autonomia. I sindaci, si ragiona, devono essere liberi di fare le proprie scelte in fatto di fisco. E i cittadini devono essere liberi di promuoverle o bocciarle con il voto. I prossimi giorni diranno se la scelta di imboccare questa strada avrà il via libera dei leader di Lega e Cinque Stelle. Perché l’esperienza, a partire da quella del 2006 quando il governo Prodi accompagnò il taglio al cuneo fiscale con uno sblocco dei tributi locali che provocò mesi di polemiche incendiarie sui numeri, insegna che è una strada scivolosa sul piano politico.
L’ultimo stop al fisco di Comuni e Regioni è stato acceso dalla manovra 2016. L’allora premier Renzi aveva appena celebrato il «funerale della Tasi», e per evitare che qualche amministratore locale rovinasse la festa si decise di fermare le possibilità di aumento per l’anno dopo. Ma blocchi come questi sono facili da mettere e complicati da togliere. Il congelamento è stato allora prorogato sia nel 2017 sia quest’anno. E il problema è passato nelle mani del governo Lega-M5S.
Fermare all’infinito le scelte fiscali di Comuni e Regioni non si può. Anche perché lo stop agli aumenti, come sempre, ha trattato tutti allo stesso modo: le giunte che avevano alzato in tempo le loro richieste, magari per puntellare bilanci ballerini, hanno potuto mantenerle nel tempo senza problemi. Gli enti che invece avendo conti in ordine avevano limitato o evitato del tutto le addizionali sono stati costretti allo status quo, e magari a rinunciare a qualche progetto per l’impossibilità di finanziarlo. In una condizione del genere ci sono soprattutto le amministrazioni medie e piccole del Centro-Nord, e questo spiega perché l’idea di superare il blocco è concretamente sui tavoli del governo. Ma sono tante. E questo spiega perché il problema politico è spinoso. Soprattutto in una manovra che allarga il forfait al 15% alle partite Iva ma rimanda a un futuro piuttosto indeterminato gli interventi su dipendenti e pensionati; che sono di gran lunga i primi clienti dell’Irpef.
A misurare l’ampiezza del tema sono i numeri. L’addizionale Irpef è ancora a zero in 4.151 Comuni, più della metà del totale. I Comuni che hanno già raggiunto il massimo dell’8 per mille, invece, sono solo 1.187, cioè un municipio su sei.
Fra questi c’è Roma, che anzi è l’unica a sfondare il tetto per arrivare al 9 per mille e finanziare così anche la gestione commissariale del debito; ci sono Napoli e Catania, alle prese con complicati piani anti-dissesto (giusto ieri il sindaco di Catania è tornato a chiedere fondi al governo), e Palermo dove i conti scricchiolano. Anche a Milano l’aliquota è al massimo, accompagnata però da un’esenzione per i redditi fino a 21mila euro che in teoria si potrebbe ripensare con lo sblocco, mentre a Torino la no tax area si ferma a 11.790 euro.
Il ritorno della possibilità di manovrare al rialzo le aliquote, insomma, resterebbe lontano dalla maggioranza delle città più grandi, che hanno già raggiunto i tetti di legge. Ma sarebbe una notizia per tante amministrazioni soprattutto in Toscana, Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte, i territori dell’Italia “ordinaria” dove le aliquote medie sono più lontane dal livello massimo. Fuori gara le Regioni a Statuto speciale, che soprattutto al Nord offrono ai propri sindaci una quantità di risorse spesso in grado di tenere l’addizionale fuori dalla porta.
Oggi l’Irpef dei Comuni vale 4,16 miliardi, e se tutti applicassero l’aliquota massima potrebbe arrivare fino a 5,9 miliardi. Non succederà, ovviamente, anche perché il prossimo è un anno elettorale per oltre 3.500 Comuni, e a pochi mesi dal voto le aliquote sono materia incendiaria. Tanto più che, a differenza del passato, non ci sarebbero tagli da compensare per via fiscale, perché la manovra riforma il pareggio di bilancio, sblocca i fondi per gli investimenti e almeno per ora non mette in calendario tagli. Qualche incognita c’è ancora, per esempio sulla replica dei 300 milioni del fondo a circa 1.800 piccoli Comuni per compensare l’addio alla Tasi sull’abitazione principale. Ma il percorso della manovra è ancora lungo.
IL SOLE 24 ORE
Gianni Trovati