La Repubblica. Volevano fare la pace fiscale. Porteranno la guerra. Tra partite Iva ricche e povere, imprese grandi e piccole, famiglie e banche. A leggere la nota al Def – il documento di economia e finanza – appena approvata dal governo, dopo un lungo tira e molla sul deficit, la pressione fiscale totale sembra rimanere costante al 41,3%. Ma a guardare dentro le singole misure sin qui annunciate, c’è chi rischia una stangata di tasse subito. E chi in un futuro vicino. Quello che sembra ormai chiarissimo è che la flat tax non vedrà mai la luce, a meno di far salire l’Iva. E un condono tombale – non una semplice rottamazione di ruoli già inseriti nel bilancio dello Stato – può far lievitare le entrate tributarie e per quella via pompare la pressione fiscale totale.
Flat tax e Iva
Com’è possibile una retromarcia così clamorosa? Basta leggere il Def. Il governo ha ritoccato l’obiettivo di deficit rispetto al Pil.
Non sale più al 2,4% per tre anni, ma solo il primo e poi scende al 2,1 e all’1,8. Un quadro possibile solo se l’economia italiana si mette a crescere come oggi sembra improbabile. E se il governo fa aumentare l’Iva nel 2020 e 2021 per circa 30 miliardi: inverosimile. Motivo per cui il deficit salirà sempre, nel triennio: 2,4-2,9-2,7, a un passo dallo sforamento dei parametri europei. E così addio alla flat tax, la riforma epocale dell’Irpef. «Impossibile diminuire le tasse in queste condizioni, sarà già un miracolo non farle salire», ragiona Enrico Zanetti, ex viceministro dell’Economia e commercialista del centro studi tributario Eutekne. Insomma i margini per la rivoluzione fiscale sono stati erosi dalla maggiore spesa previdenziale e assistenziale, ovvero da “quota 100” e reddito di cittadinanza.
Professionisti e imprese
Nel frattempo il governo annuncia per il 2019 l’arrivo della flat tax per i “piccoli”: partite Iva e società di persone. Ma è un bluff. Da una parte, mette 2 miliardi tra tassa piatta al 15% e mini-Ires. Dall’altra, ne toglie 3 abolendo Iri e Ace, misure di vantaggio fiscale per professionisti e imprese. La flat tax al 15% per le partite Iva (sostitutiva di Irpef, addizionali, Iva) esiste già per un milione di italiani. La soglia di fatturato per usufruirne – che oggi oscilla, a seconda delle categorie, tra 30 e 50 mila euro annui – viene portata a 65 mila euro: 500 mila beneficiari in più. Restano a bocca asciutta altri 2 milioni – calcola Zanetti – tra partite Iva individuali (1,2 milioni) che fatturano più di 65 mila euro e società di persone (800 mila). Per loro dal 2019 doveva esserci l’Iri – la nuova imposta piatta al 24%, stessa aliquota prevista per le società di capitali, sui redditi lasciati in azienda o in studio – e invece rimarrà la vecchia Irpef a scaglioni. Non va meglio alle aziende grandi. È vero che l’Ires passa dal 24 al 15%, ma solo per gli utili reinvestiti in beni strumentali o per nuove assunzioni stabili. Nel contempo però salta l’Ace, l’Aiuto alla crescita economica in vigore dal 2012: tasse zero su una parte degli utili accantonati o usati per aumenti di capitale. Secondo i calcoli di Massimo Miani, presidente dei commercialisti, circa 1 milione e 200 mila imprese ha avuto benefici dall’Ace in questi anni. Per riassumere: nel 2019 circa 3 milioni e 200 mila tra partite Iva e imprese piccole e grandi pagheranno maggiori tasse. Un miliardo in più. E il conto potrebbe salire se il governo decidesse di aumentare gli acconti sulle imposte dovuti da professionisti e aziende. Un’arma spuntata perché lo Stato incassa di più in un anno, meno in quello dopo.
Famiglie
Cosa succede invece alle famiglie? Nessuna flat tax, per ora e forse mai. Ma nel presente rischiano aggravi su mutui e fidi, al pari delle imprese sui prestiti: non solo perché lo spread si è impennato, ma anche perché l’imminente legge di bilancio colpirà le banche in diversi modi (deducibilità degli interessi passivi che scende dal 100 all’86% e quella delle svalutazioni diluita su più anni), appesantendo i loro conti economici. Difficile pensare che il peso non sia scaricato sui cittadini. Il governatore della Bce Mario Draghi, in via prudenziale, calcola l’extra costo del maggiore spread, innescato in questi mesi dagli annunci del governo, in 20 punti base sui mutui e 80 sui prestiti alle imprese. Le famiglie poi sono in allerta anche per la sforbiciata agli sconti fiscali, come detrazioni e deduzioni: sono 466 e valgono 54,2 miliardi. Il governo non è ancora entrato nel dettaglio, ma nell’allegato al Def scrive di voler procedere a un taglio. Due le opzioni: lasciare solo le detrazioni per lavoro e famiglia oppure “operare interventi orizzontali”, in attesa – si legge a pagina 14 – della riforma dell’Irpef. Ovvero la flat tax, che però come detto rischia di non vedere mai la luce. Infine l’altro grande fattore di preoccupazione per le famiglie: l’imposta sui consumi. Con un deficit pronto alla lievitazione, cosa succede se tra un anno aumenta pure l’Iva? Altro che pace fiscale.