La crescita messa in programma dal governo è dell’1,5% per l’anno prossimo, salirà all’1,6% in quello successivo per ripiegare sull’1,4% nel 2021. A confermare ufficialmente le anticipazioni del Sole 24 Ore di ieri è la lettera inviata dal ministro dell’Economia Giovanni Tria a Bruxelles per riavviare un confronto che si prospetta tutto in salita. «Auspico che il dialogo rimanga aperto e costruttivo», afferma però Tria. «A questo dialogo – chiude il ministro forse anche per allontanare le voci di sue dimissioni che continuano a circolare nei palazzi – il Governo si presenta compatto e fiducioso». Da far digerire a Bruxelles ci sarà un deficit strutturale fisso all’1,7% per i prossimi tre anni, senza nessuna convergenza verso il pareggio di bilancio che secondo la relazione «sarà raggiunto gradualmente negli anni a seguite». Il saldo netto da finanziare di competenza potrà aumentare nel 2019 fino al 68,5 per cento. Nonostante questo, la spesa per interessi crescerebbe solo di un decimo di Pil (meno di due miliardi) il prossimo anno. Il debito scende dal 130,9 del 2018 al 129,2% del 2019, al 126,7% del 2020 e al 124,6% al 2021. Il saldo primario si attesta all’1,3% il prossimo anno, all’1,7% il successivo e al 2,1% a fine triennio. Confermate le clausole Iva, parziali, su 2020 e 2021. Sul piano delle misure la NaDef arrivata in tarda serata conferma le priorità su reddito di cittadinanza, affidato a un Ddl collegato alla manovra insieme alla riforma dei centri per l’impiego, tasse e pensioni.
L’esigenza di calmare le acque nasce anche dal fatto che nemmeno l’ennesimo vertice di mercoledì, con tanto di dichiarazioni unilaterali alla stampa, è bastato a chiudere il cantiere della più tormentata Nota di aggiornamento al Def. Anche ieri un’altra giornata di battaglia sulle cifre ha accompagnato l’attesa dell’arrivo del documento alle Camere, che si è prolungata per l’ultimo esame politico da parte di M5S e Lega. Alle 22 è arrivato solo l’annuncio di Palazzo Chigi sull’invio alle Camere della Nota. Perché i numeri hanno continuato a ballare per tutta la giornata, alla caccia di coperture complicate da trovare nonostante il deficit aggiuntivo. Il tutto sotto gli occhi sempre più preoccupati della Ue che dovrà valutare il peggioramento del saldo strutturale portato dalla manovra molto sopra l’1% di quest’anno. Dalle stanze europee filtrano voci via via più insistenti sulla probabile bocciatura del programma italiano. L’attacco arriva duro, con il solito meccanismo comunicativo che a Bruxelles attribuisce le prese di posizione più frontali ad «alti funzionari». Quello interpellato ieri da Reuters parla di «follia della deviazione» dagli obiettivi di deficit evocando il rischio di «ristrutturazione del debito». Su un piano più ufficiale, la commissione conferma che il giudizio sarà sui risultati 2018 e i programmi 2019, e che quindi la ridiscesa del deficit nei due anni successivi «non è rilevante». «Non ci si può offendere – ragionava Tria in mattinata riferendosi alle obiezioni arrivate nei giorni scorsi dalla Ue – Bisogna spiegare il perché e quali sono gli obiettivi». Il primo, ribadisce l’inquilino di Via XX Settembre, è la crescita. E proprio su questo snodo arriva il giudizio sospeso degli industriali. «Sull’impatto sulla crescita il governo si gioca la sua credibilità» ragi0na il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia dicendosi «parzialmente soddisfatto» del fatto che il tema sia al centro dell’agenda. «Ma la politica si giudica sui risultati, non sugli obiettivi. Se non entriamo nel merito dei singoli provvedimenti non mi sento di dare una valutazione».
Ad avviare il confronto tra governo e Ue serve appunto la lettera inviata ieri, che conferma il deficit nominale al 2,4% per il 2019, in discesa al 2,1% nel 2020 e all’1,8% nel 2021. Prima però serve la quadra finale sui numeri che ha impegnato il governo anche per tutta la giornata di ieri. Ancora una volta, al centro c’è stato il derby fra reddito di cittadinanza e pensioni. «Ci sono 10 miliardi per il reddito e 7 per lo stop alla Fornero», ha rilanciato nel pomeriggio dal Senato il vicepremier Di Maio riassumendo un conto che si completa con i 2 miliardi per Flat Tax delle Pmi e sconti Ires e il miliardo per le assunzioni extra nelle forze dell’ordine. Un 10 a 10 che soddisfa le esigenze immediate della comunicazione politica, ma non le pretese della finanza pubblica. La sfida più difficile è stata quella di far rientrare nel deficit in discesa del 2020 e soprattutto del 2021 spese rigide per natura come quelle che servono per il reddito di cittadinanza e le pensioni. Proprio per questa ragione lo sforzo più complicato è stato quello di disegnare le misure in modo da non far esplodere i conti. E si è lavorato fino all’ultimo su un meccanismo per avviare il reddito per i primi due anni, agganciandolo poi a compatibilità di bilancio ancora da trovare. Mossa impossibile, questa, sulle pensioni, che invece vedono al centro della discussione la data di avvio di «quota 100». In mattinata erano circolate tabelle che indicavano in 5 miliardi il costo del primo anno, sulla base dell’ipotesi di una partenza ad aprile. Ma dalla Lega hanno subito chiuso la porta. «Spiace – è intervenuto il viceministro dell’Economia Massimo Garavaglia – che gli alleati di governo vadano in giro con tabelle non ufficiali che sono mere simulazioni». Quota 100, assicura il Carroccio, partirà «al massimo entro il mese di febbraio», accompagnata da un assegno di 7 miliardi per il 2019. Negli anni successivi, com’è inevitabile quando si abbassano i requisiti previdenziali, la spesa cresce, sollevando altri problemi sulla quadratura del budget triennale.
Il SOLE 24 ORE