«È come se i soggetti esposti avessero vissuto assieme a un fumatore o come se avessero vissuto mangiando burro tutti i giorni. La contaminazione da Pfas è stata un fattore di iper-esposizione per quanto riguarda il metabolismo». Sono le parole del direttore generale della sanità veneta Domenico Mantoan, in occasione della sua audizione davanti alla Commissione d’inchiesta per l’inquinamento Pfas, istituita in Regione. La Commissione ha ora pubblicato la sua relazione: quasi 500 pagine sul lavoro d’indagine svolto fino a dicembre scorso, quando si è conclusa l’attività. Il dossier arriva nei giorni più caldi del caso: all’indomani della minaccia della Regione di chiudere la Miteni (l’azienda sotto inchiesta per l’inquinamento) se non autorizzerà la verifica della tenuta delle tubature; e dopo le accuse di Greenpeace sulla presenza di un’ulteriore sostanza inquinante nelle acque, il GenX.
Sugli effetti dei Pfas sulla salute dei cittadini dell’area rossa, la Commissione precisa che le relazioni tra le sostanze inquinanti e le eventuali malattie non sono state ancora definitivamente dimostrate «ma esiste la possibilità di un rischio aumentato per ipercolesterolemia; alterazione dei livelli di acido urico; patologie tiroidee; tumori del testicolo e del rene; rettocolite ulcerosa. In gravidanza: ipertensione e pre eclampsia». Lo scorso ottobre la Commissione convoca il dg Domenico Mantoan. Che ricorda un convegno con i responsabili Oms «che ha confermato che queste sostanze per fortuna non sono cancerogene a livello 2, nel lunghissimo periodo, e che sono un interferente endocrino. I dati sulla mortalità e sulle incidenze delle patologie hanno dimostrato che in quella zona c’è stato il 20% di mortalità in più per le malattie cardiovascolari». La popolazione esposta, spiega Mantoan alla Commissione, ha avuto una percentuale più alta di diabete, di colesterolo e di disturbi alla tiroide. L’obiettivo dello screening, aggiunge, è la prevenzione
Sempre a ottobre 2017 davanti alla Commissione, siedono i vertici Miteni. Ci sono il presidente del Cda Martin Leitgeb e il responsabile Hse dello stabilimento Davide Drusian. È quest’ultimo a spiegare che la lavorazione del composto Pfos è cessata nel 2011, mentre per Pfoa la sintesi della molecola è finita nei primi mesi del 2012. Leitgeb precisa come nella fase di acquisizione dell’azienda, nel 2009, sia stata fatta un’indagine «e non c’era nessuna indicazione su questo inquinamento, quindi non sapevamo nulla». Nessun sospetto neppure dopo la scoperta della barriera antinquinamento che era stata predisposta: Drusian dice ai commissari che quando arrivò in azienda, c’erano già tre piezometri a valle. «C’è chi mi ha detto che era una prescrizione del Comitato tecnico regionale relativamente alle aziende, alla Seveso, però io non ho trovato documentazione a supporto».
A dicembre sfilano in Commissione i rappresentanti dei Comitati ambientalisti e della popolazione esposta. Antonella Zarantonello, rappresentante del Coordinamento Acqua libera da Pfas si sofferma sugli alimenti. «Relativamente ai risultati delle analisi sugli alimenti, denunciamo la lentezza con cui si sta procedendo nel trasmettere i dati e le geolocalizzazioni di prodotti contaminati», dichiara nella seduta di dicembre, «Le ultime analisi evidenziano una possibile criticità per la presenza di Pfas e Pfoa e le sostanze a catena corta in diversi alimenti. Tali sostanze sono presenti non solo nell’acqua, ma anche in un gran numero di alimenti prodotti e commercializzati nel territorio e fuori». —