Insultate, spintonate, minacciate. Un’escalation in altre realtà degenerata in omicidio (a Oristano), rapina (a Nicolosi, in Sicilia) e stupro (a Catania) e che il Veneto ha deciso di bloccare prima di nuove tragedie. Con una delibera, scaturita dall’accordo sottoscritto con i sindacati di categoria, l’8 giugno scorso la Regione ha avviato la riorganizzazione del servizio delle Guardie mediche, partendo dalla parola d’ordine: sicurezza. E quindi dallo spostamento degli ambulatori, se in sedi isolate, «preferibilmente nelle Medicine di gruppo integrate (che così diventano i famosi ambulatori h24), nelle Distretti e nelle strutture di ricovero intermedie». Le Guardie mediche sono particolarmente a rischio perché al lavoro generalmente da sole e di notte, dalle 20 alle 8 di ogni giorno e poi nei festivi e prefestivi.
La riforma risponde pure alla mission di «accessibilità dell’utenza e quindi ad un’appropriata distribuzione degli ambulatori, tale che la popolazione possa trovare la risposta “vicina”». «Le sedi dovranno essere dotate di adeguate misure di sicurezza — specifica nella delibera l’assessore alla Sanità, Luca Coletto, che indica alle Usl i provvedimenti da adottare: «Per garantire al medico di operare in sicurezza, si ritiene opportuno che oltre alla presenza di dispositivi come videocitofono e telecamere, l’utente venga preventivamente identificato». E ancora: «Le sedi dovranno essere dotate di mezzi anti-intrusione (eventuali sbarre alle finestre, vetri anti-sfondamento, porta blindata, videocitofono, telecamera esterna per ogni singolo accesso con videoregistrazione) e collegata direttamente con dispositivi elettronici o telefonici alle forze dell’ordine o alla vigilanza privata, in caso di necessità». L’accesso diretto dei pazienti sarà possibile solo dalle 20 a mezzanotte, dopodiché il contatto avverrà telefonicamente. Perciò il medico deciderà se limitarsi a un consiglio telefonico, o convocare l’utente in ambulatorio oppure procedere alla visita domiciliare, muovendosi con mezzi messi a disposizione dall’Usl «possibilmente muniti di telefono mobile e di caratteri distintivi».
E’ poi allo studio l’istituzione di un call center regionale, ovvero un numero unico sul modello del 118 che smisti le chiamate alla sede territoriale di riferimento e chieda al paziente solo dati non sanitari. Le chiamate in entrata e in uscita saranno registrate e archiviate.
«E’ un accordo frutto di un anno di lavoro — rivela il dottor Alberto Cossato, coordinatore regionale delle Guardie mediche per la Fimmg — era impensabile continuare a lavorare con il continuo pericolo di aggressioni. Anche perché il 60% dei colleghi sono donne, motivo in più per non lasciarle sole in studi isolati, di notte. In assenza di garanzie di sicurezza, il rischio era di vedere chiudere gli ambulatori di continuità assistenziale, a scapito dell’assistenza. E’ importante per la popolazione poter contare sulla presenza di camici bianchi anche la notte e nei festivi, perché non ci limitiamo a curare l’imprevisto ma anche ad assistere i malati cronici e terminali, a redigere le constatazioni di decesso, a compilare i certificati e le impegnative in assenza dei medici di famiglia». Saranno le Usl a scegliere dove collocare gli studi delle Guardie mediche, nel rispetto della delibera regionale, che avverte: «Per garantire la sicurezza della sede e la sua funzionalità sarà preferibile collocarla all’interno di strutture pubbliche».
E in tal senso ha fatto da apripista l’Usl 1 di Belluno. «Le Guardie mediche di Cortina, Feltre e Lamon hanno l’ambulatorio dentro i rispettivi ospedali — rivela il direttore generale Adriano Rasi Caldogno — e presto accadrà anche a Belluno. Col doppio vantaggio che nei festivi e prefestivi potranno smaltire i codici bianchi del Pronto soccorso. In ospedale non sono isolate, quindi corrono meno rischi e infatti finora non è mai successo nulla».
Corveneto