Via libera della Camera e del Senato alla Risoluzione di Lega e Movimento 5 Stelle sul Documento di economia e finanza, premessa della legge di bilancio del 2019. Un atto che sollecita il governo ad eliminare gli aumenti dell’Iva previsti per il prossimo anno e a varare subito i primi provvedimenti previsti dal Contratto di programma, anche se nel rispetto degli impegni europei. La richiesta all’esecutivo di impegnarsi ad aprire un negoziato con la Ue per ottenere nuova flessibilità di bilancio è solo tra le righe. Anche se quello è l’obiettivo della maggioranza e l’intenzione del governo, secondo il quale non è inconciliabile con la riduzione del debito pubblico, che per il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, resta comunque prioritaria.
Il livello di deficit ha detto il ministro ieri in Parlamento, «sarà oggetto di una seria riflessione in sede di predisposizione del nuovo quadro programmatico», a settembre, «in stretta collaborazione con la Commissione Ue, e si individuerà il percorso più adeguato all’attuale contesto economico e al perseguimento dell’obiettivo di riduzione del debito».
All’orizzonte, sempre più chiaramente, si delinea un rinvio del pareggio di bilancio almeno di un anno, dal 2020 al 2021. Non a caso la Risoluzione (passata alla Camera con 330 voti favorevoli e 242 contrari, e al Senato con 166 favorevoli e 127 contrari) fa riferimento ai saldi di bilancio fino al 2021, chiedendo poi all’esecutivo di presentare al Consiglio e alla Commissione Ue «un aggiornamento del Programma di stabilità» oltre che del Piano nazionale di riforme. La Risoluzione si spinge a chiedere al governo dei provvedimenti già in questo scorcio d’anno, sempre nel rispetto dei saldi di bilancio, «per dare attuazione alle linee programmatiche indicate dal presidente del Consiglio», e di sottoporre «tali nuovi indirizzi all’approvazione parlamentare».
Nella replica, che è stata «molto apprezzata» in Europa, Tria non ha lasciato molto spazio alle illusioni. L’inversione di tendenza e la riduzione del debito pubblico «è un’evoluzione che è bene non mettere a repentaglio: il consolidamento del bilancio e il calo del debito sono condizioni necessarie per la fiducia dei mercati». La chiave per uscire dalla bassa crescita è un’impulso «endogeno» all’economia che il governo immagina in una fortissima spinta sugli investimenti pubblici. Frenati più dalla mancanza di progettualità che di risorse, nonché dagli effetti «non voluti» del nuovo Codice Appalti, dice Tria annunciando una Task Force per lo sblocco dei cantieri, cui anche i sindaci sono pronti a collaborare «purché — dice l’Anci — ci sia regolarità nell’erogazione dei fondi».
La cosa più importante, per il ministro, è crescere di più. L’Italia resta fanalino di coda nell’Eurozona, ricordava ieri l’Ocse, sottolineando anche i rischi per la crescita che potrebbero derivare da una presenza ancora più marcata dei partiti populisti. Anche Tria è preoccupato per la crescita, ma più che altro per le tensioni sul commercio internazionale e i dazi. Per raggiungere l’1,5% quest’anno previsto da Gentiloni «bisogna accelerare».
Spingendo sugli investimenti, per tornare a chiedere alla Ue il loro scomputo dal deficit, e anche sulle riforme previste dal programma, ma con giudizio. «Dovranno essere adeguatamente coperte, e valutate per l’impatto sulla crescita e i conti pubblici» dice Tria. Secondo il quale anche la semplificazione e la «riduzione progressiva della pressione fiscale» dovranno essere «programmate in linea ad un andamento coerente della spesa pubblica».
corsera