Qualcuno avrebbe voluto armarli ma il dottor Toffoletto ha detto no, ai medici diamo prima il fischietto. «Veloce, efficace, economico e, soprattutto, scaccia pensieri e aggressori», sintetizza con un certo entusiasmo il dottor Fabio Toffoletto che dirige il Dipartimento urgenza ed emergenza e coordina tutti i pronto soccorso del Veneto orientale, dalle spiagge di Bibione a quelle del Cavallino, fino all’entroterra di San Donà e Portogruaro.
E così, l’idea di un paio di dottoresse preoccupate dall’escalation di aggressioni negli ospedali, ha portato alla fornitura in via sperimentale di 200 fischietti ad altrettanti medici, infermieri e operatori sanitari.
Lo metteranno al collo per sei mesi e lo useranno tutte le volte che qualcuno si avvicina con fare minaccioso: parenti ostili, pazienti furiosi, gente che spinge, che urla, che mena. «Servirà a richiamare l’attenzione dei colleghi o di altre persone che possono intervenire aiutando la vittima. E ricorderà all’aggressore di aver superato il limite», spiega il direttore generale dell’Ulss interessata, Carlo Bramezza. Come un arbitro di calcio di fronte a un fallo da cartellino giallo, come i vecchi Bobby londinesi fra le strade grigie della capitale britannica. Un trillo e si spera che tutto cambi.
D’altra parte i numeri raccontano di un fenomeno in rapida espansione: dalle 23 aggressioni registrate nell’area interessata durante il 2016 si è passati alle 45 del 2017. Ma è tutta la Penisola a essere toccata dall’emergenza. Pugni, calci, sberle, ad avere la peggio è sempre il personale medico e sanitario. Una media di 10 episodi al giorno, informa la Federazione nazionale di Asl e ospedali. «Sono stati almeno 1.420 nel 2017», secondo l’Ordine dei Medici Chirurghi Odontoiatri di Roma. Le più a rischio sono naturalmente le donne, dottoresse e infermiere su tutte. Il reparto più esposto, il pronto soccorso, dove gli animi tendono a surriscaldarsi e si arriva sempre più spesso a violente discussioni.
Le regioni più colpite, Puglia, Sicilia, Sardegna e Lombardia. Emergency Live ricorda peraltro che solo il 10% del personale aggredito ha sporto denuncia (dato del 2015). E nonostante ciò il bollettino di guerra della sanità si allunga con cadenza pressoché quotidiana.
L’altro giorno è toccato a una dottoressa colpita al viso dai parenti di un paziente a Giugliano, in Campania. Stessa sorte ha subito una sua collega a Palermo, colpevole di aver invitato i parenti ad allontanarsi per il tempo del pasto. Un’altra ancora a Catania, picchiata da due uomini dopo aver chiesto loro di uscire dalla stanza dove c’era il fratello, ferito in un incidente. Per non parlare dei casi più gravi del passato, violenze sessuali, pure omicidi, come quello terribile della guardia medica Roberta Zedda, uccisa a coltellate nel 2003 a Solarussa (Oristano) dopo un tentativo di stupro. Ora, a San Donà e dintorni non si parla fortunatamente di omicidi ma di aggressioni sì.
«E il tutto s’inserisce in un quadro di rischio clinico perché l’operatore offeso verbalmente o fisicamente diventa un pericolo per gli altri pazienti, che curerà in condizioni psicofisiche alterate», allarma la dottoressa Carolina Prevaldi che ha coordinato il progetto.
Negli ospedali nordestini, che d’estate si gonfiano di turisti diventando i più popolosi d’Europa, proveranno a fischiare.
Il Corriere della Sera – 23 maggio 2018