Nel contratto messo a punto la scorsa settimana da Lega e M5S per tentare di costituire un governo giallo-verde non si parla di Ape volontario, il nuovo strumento finanziario attivo da poco più di un mese per consentire ai 63enni con 20 anni di contributi di uscire dal mercato del lavoro con un anticipo fino a 43 mesi.
La misura è sperimentale e non impatta sulle finanze pubbliche poiché i beneficiari si autofinanziano con una tariffa amministrata per poi rimborsare il prestito-ponte nei primi vent’anni di pensione. È una forma di flessibilità in più che, a differenza dell’Ape sociale, non rischia dunque lo stop: andrà avanti almeno fino alla fine della sperimentazione, ovvero dicembre del 2019, poi si vedrà.
Intanto la macchina Inps macina domande e nel primo mese di operatività, al 13 maggio scorso, ha raccolto oltre 4.200 richieste di anticipo pensionistico (durata media 32 mesi; rata media richiesta, 925 euro al mese) per finanziamenti individuali superiori ai 41mila euro. Complessivamente sono stati “prenotati” sul portale Inps finanziamenti per 173 milioni di euro, ora al vaglio dei requisiti bancari, e i primi versamenti dovrebbero scattare all’inizio di luglio.
Oltre Intesa Sanpaolo, per il momento unico partner bancario che ha aderito alla convenzione Abi-Ania-Inps, partecipano a questa fase iniziale dell’iniziativa quattro compagnie assicurative: Allianz, Unipol-Sai, Generali e PosteVita. «Dal punto di vista delle assicurazioni – spiega Luigi Di Falco, responsabile Protezione, Vita e Welfare dell’Ania – uno strumento come l’Ape volontario può contribuire a colmare il gap che separa l’Italia da altri paesi europei dove è molto più diffusa la propensione ad assicurarsi sul rischio vita».
L’anno scorso in Italia la raccolta dei premi vita è stata di 98 miliardi, il 5,7% del Pil, contro i 90 miliardi della Germania e i 131 della Francia. Ma la differenza è che nelle polizze italiane solo una parte minore tutela il rischio vita puro, visto che la maggioranza dei contratti ha contenuti di investimento finanziario. In caso di pre-morienza l’apista lascia il finanziamento residuo al partner (o al figlio) cui poi andrà anche la futura pensione di reversibilità integra e senza oneri di rimborso. «In questo senso – aggiunge Di Falco – lo strumento potenzialmente è interessante per far crescere una cultura assicurativa che oggi ancora non c’è, con troppi risparmiatori anche di mezza età che preferiscono accantonare liquidità invece di sottoscrivere una polizza».
Solo al termine della sperimentazione, quando si potrà fare un bilancio dell’Ape volontario e della sua declinazione aziendale, si conosceranno gli eventuali effetti diretti e indiretti. Anche sui conti delle banche e delle assicurazioni. Un rischio cui queste ultime sono esposte sta nel bilanciamento tra le speranze di vita e le effettive condizioni di salute dei beneficiari: «Si rispetta il principio dell’obbligatorietà – spiega Di Falco – e le assicurazioni non possono negare il diritto all’Ape come fanno le banche se mancassero i requisiti di credito di chi fa domanda. In questo senso se fanno domanda più uomini, che hanno una speranza di vita a 65 anni minore delle donne, o più persone in cattive condizioni di salute, le assicurazioni si espongono a un rischio maggiore. Ma la sperimentazione è fatta anche per questo, per correggere le norme prima della loro stabilizzazione, se si rendesse necessario». Vale ricordare che gli interessati alla prima applicazione di questa misura, prevista come detto fino alla fine del 2019, sono i lavoratori nati tra il maggio del 1954 e il luglio del 1956. Inps ha stimato che il solo Ape volontario potrebbe interessare una platea potenziale di 300mila lavoratori quest’anno e di altri 115mila nel 2019. Certo, se tornassero i pensionamenti di anzianità con 41 anni e 5 mesi o quota 100 con 64 anni minimi l’appeal dell’Ape potrebbe calare. Ma, appunto, per ora sono soltanto scenari.
La misura è sperimentale e non impatta sulle finanze pubbliche poiché i beneficiari si autofinanziano con una tariffa amministrata per poi rimborsare il prestito-ponte nei primi vent’anni di pensione. È una forma di flessibilità in più che, a differenza dell’Ape sociale, non rischia dunque lo stop: andrà avanti almeno fino alla fine della sperimentazione, ovvero dicembre del 2019, poi si vedrà.
Intanto la macchina Inps macina domande e nel primo mese di operatività, al 13 maggio scorso, ha raccolto oltre 4.200 richieste di anticipo pensionistico (durata media 32 mesi; rata media richiesta, 925 euro al mese) per finanziamenti individuali superiori ai 41mila euro. Complessivamente sono stati “prenotati” sul portale Inps finanziamenti per 173 milioni di euro, ora al vaglio dei requisiti bancari, e i primi versamenti dovrebbero scattare all’inizio di luglio.
Oltre Intesa Sanpaolo, per il momento unico partner bancario che ha aderito alla convenzione Abi-Ania-Inps, partecipano a questa fase iniziale dell’iniziativa quattro compagnie assicurative: Allianz, Unipol-Sai, Generali e PosteVita. «Dal punto di vista delle assicurazioni – spiega Luigi Di Falco, responsabile Protezione, Vita e Welfare dell’Ania – uno strumento come l’Ape volontario può contribuire a colmare il gap che separa l’Italia da altri paesi europei dove è molto più diffusa la propensione ad assicurarsi sul rischio vita».
L’anno scorso in Italia la raccolta dei premi vita è stata di 98 miliardi, il 5,7% del Pil, contro i 90 miliardi della Germania e i 131 della Francia. Ma la differenza è che nelle polizze italiane solo una parte minore tutela il rischio vita puro, visto che la maggioranza dei contratti ha contenuti di investimento finanziario. In caso di pre-morienza l’apista lascia il finanziamento residuo al partner (o al figlio) cui poi andrà anche la futura pensione di reversibilità integra e senza oneri di rimborso. «In questo senso – aggiunge Di Falco – lo strumento potenzialmente è interessante per far crescere una cultura assicurativa che oggi ancora non c’è, con troppi risparmiatori anche di mezza età che preferiscono accantonare liquidità invece di sottoscrivere una polizza».
Solo al termine della sperimentazione, quando si potrà fare un bilancio dell’Ape volontario e della sua declinazione aziendale, si conosceranno gli eventuali effetti diretti e indiretti. Anche sui conti delle banche e delle assicurazioni. Un rischio cui queste ultime sono esposte sta nel bilanciamento tra le speranze di vita e le effettive condizioni di salute dei beneficiari: «Si rispetta il principio dell’obbligatorietà – spiega Di Falco – e le assicurazioni non possono negare il diritto all’Ape come fanno le banche se mancassero i requisiti di credito di chi fa domanda. In questo senso se fanno domanda più uomini, che hanno una speranza di vita a 65 anni minore delle donne, o più persone in cattive condizioni di salute, le assicurazioni si espongono a un rischio maggiore. Ma la sperimentazione è fatta anche per questo, per correggere le norme prima della loro stabilizzazione, se si rendesse necessario». Vale ricordare che gli interessati alla prima applicazione di questa misura, prevista come detto fino alla fine del 2019, sono i lavoratori nati tra il maggio del 1954 e il luglio del 1956. Inps ha stimato che il solo Ape volontario potrebbe interessare una platea potenziale di 300mila lavoratori quest’anno e di altri 115mila nel 2019. Certo, se tornassero i pensionamenti di anzianità con 41 anni e 5 mesi o quota 100 con 64 anni minimi l’appeal dell’Ape potrebbe calare. Ma, appunto, per ora sono soltanto scenari.
Davide Colombo – Il Sole 24 Ore – 21 maggio 2018