Questa la fotografia degli italiani e dei residenti nel nostro Paese scattata oggi dall’Istat nel suo 26° Rapporto annuale presentato stamattina alla Camera. In Italia, si dichiarano in buona salute sette persone su dieci e rispetto ad altri paesi europei c’è una maggiore omogeneità dello stato di salute rispetto alla condizione economica. C’è, però, una sostanziale differenza tra le Regioni rispetto alla diseguaglianza in salute. In generale, al crescere della spesa sanitaria pro capite questa diminuisce; alcune regioni si discostano da questa tendenza. IL RAPPORTO 2018.
Al 1° gennaio 2018 si stima che la popolazione residente ammonti a 60,5 milioni, con un’incidenza della popolazione straniera dell’8,4 per cento (5,6 milioni di persone). La popolazione totale diminuisce per il terzo anno consecutivo: quasi 100 mila persone in meno rispetto all’anno precedente.
Le nascite, in particolare, sono in calo da nove anni: nel 2008 erano state 577 mila, nel 2017 sono state 464 mila, un nuovo minimo storico dopo quello dell’anno precedente.
Per i tre quarti la diminuzione va attribuita al fatto che escono dall’età feconda generazioni particolarmente numerose di donne. Il restante quarto è riconducibile alla diminuzione della propensione a procreare. Inoltre, si diventa genitori sempre più tardi. Per le donne, l’età media alla nascita del primo figlio, che era di 26 anni nel 1980, nel 2016 è di 31.
Nel 2017 i nati con almeno un genitore straniero sono stati circa 100 mila, più di un quinto del totale, ma dal 2012 diminuisce anche il contributo alle nascite della popolazione straniera. Il numero medio di figli delle donne straniere resta più elevato di quello delle donne italiane (1,95 figli per donna rispetto a 1,27), ma diminuisce per effetto di una struttura per età più “vecchia” rispetto al passato e per i cambiamenti nella dimensione e composizione dei flussi migratori.
L’anno scorso, il benessere degli italiani misurato nel Def migliora in cinque dei dodici indicatori consideratie arretra o rimane stabile nei rimanenti sette. In positivo, presentano tendenze concordi da un triennio o più la riduzione della criminalità predatoria, il miglioramento nella partecipazione al mercato del lavoro e la riduzione della durata delle cause civili; in negativo, l’aumento della diseguaglianza dei redditi e della povertà assoluta. Quest’ultima, secondo le stime preliminari, nel 2017 interessa il 6,9 per cento delle famiglie e l’8,3 per cento dei residenti (dal 6,3 e 7,9 per cento nel 2016, rispettivamente). In termini assoluti, si tratta di quasi 1,8 milioni di famiglie e 5 milioni di individui.
In Italia, si dichiarano in buona salute sette persone su dieci. Rispetto ad altri paesi europei c’è una maggiore omogeneità dello stato di salute rispetto alla condizione economica. Nel 2016, nel Paese, l’indice di diseguaglianza nella percezione dello stato di salute presenta un valore di 0,243, registrando il minimo in Valle d’Aosta (0,166) e il massimo in Basilicata (0,331).
Ma, come nel resto d’Europa, anche lo stato di salute degli italiani risente di caratteristiche socio-economiche, demografiche e territoriali, che concorrono a definire stili e ambienti di vita.
In generale, al crescere della spesa sanitaria pro capite diminuisce la diseguaglianza in salute. Si discostano da questa tendenza: il Molise, con una spesa pro capite particolarmente elevata e uno dei valori più alti di diseguaglianza in salute; al contrario il Veneto raggiunge un basso livello di diseguaglianza in salute, nonostante la spesa sanitaria sia al di sotto della media nazionale.
Nel 2016, il 47,1% della spesa sanitaria pubblica è destinato alle prestazioni ospedaliere, il 20,3% all’assistenza ambulatoriale, il 15,8% all’assistenza farmaceutica e altri presidi medici, il 10,2% all’assistenza di lungo periodo; il resto si distribuisce nell’attività di prevenzione delle malattie e nelle altre funzioni di assistenza e per la gestione del sistema.
L’assistenza territoriale assorbe il 30,7% della spesa sanitaria pubblica. Questa è destinata per il 18,3% a funzioni di cura e riabilitazione, per l’8,2% a servizi di laboratorio di analisi, diagnostica per immagini, trasporto di pazienti o soccorso di emergenza e per il 4,2% a prestazioni di assistenza di lungodegenza.
La varietà di offerta di servizi sul territorio può anche essere valutata in relazione alla struttura demografica e ad altre caratteristiche della popolazione beneficiaria. Profili di offerta sanitaria più centrati sui servizi destinati agli anziani e alle persone con disabilità sono tipici delle aree del Nord e di una parte del Centro.
Le Asl con profili di offerta più indirizzati all’assistenza clinica e diagnostica e meno ad anziani e persone con disabilità sono invece prevalenti nel Mezzogiorno, nel Lazio, in alcune zone del Veneto e nelle aree costiere della Toscana.
Nel 2015, operano in Italia 1.344 strutture ospedaliere del Ssn, per un totale di 217 mila posti letto, per l’83,9% destinati alla cura di patologie acute, per circa il 12% alla riabilitazione, e il rimanente alla lungodegenza.
L’80% delle Asl garantisce l’offerta di Dipartimenti di emergenza di primo livello, circa il 50% quella di secondo livello. Ampie zone del Paese, in particolare nelle Isole, nel Lazio, in Abruzzo e in alcune parti del Nord-est, non sono in grado quindi di fronteggiare emergenze di particolare gravità, se non attraverso trasporti speciali.
Le Regioni con la quota più elevata di mobilità ospedaliera in uscita sono Molise, Basilicata e Calabria (rispettivamente 26,7, 23,7 e 21,2% dei ricoveri dei residenti nel 2016); queste stesse regioni hanno la percentuale più bassa di cittadini soddisfatti per l’assistenza medica ospedaliera ricevuta nel luogo di residenza (25,6, 12,6 e 21,1% rispettivamente).
Le regioni più attrattive per l’assistenza ospedaliera sono la Lombardia e l’Emilia-Romagna, le quali effettuano, rispettivamente, 3,0 e 2,4 ricoveri in entrata per ogni ricovero in uscita dalla regione.
Nel 2015, la spesa dei comuni per i servizi sociali, al netto del contributo degli utenti e del Servizio sanitario nazionale, ammonta a circa 7 miliardi di euro, lo 0,4% del Pil. Circa il 40% delle risorse è destinato ai servizi e ai contributi per le famiglie con figli, un quarto della spesa è destinata ai disabili, circa il 20% agli anziani; quote inferiori sono rivolte al contrasto alla povertà e all’esclusione sociale (7,0%), alla gestione degli immigrati (4,2) e al contrasto alle dipendenze (0,4).
La principale fonte di finanziamento dei servizi sociali è costituita da risorse proprie dei comuni, che complessivamente coprono circa il 70% della spesa per i servizi sociali. Il contributo del fondo indistinto per le politiche sociali nel 2015 è inferiore di quattro punti percentuali rispetto al 2006 ed è in proporzione più alto nel Mezzogiorno rispetto al Centro-nord, dove è invece maggiore l’apporto delle risorse proprie dei comuni.
L’Italia è da tempo tra i paesi più longevi al mondo. Secondo le stime riferite al 2017, la speranza di vita alla nascita ha raggiunto 80,6 anni per gli uomini e 84,9 per le donne. Sul totale della popolazione, il valore più elevato si registra nella provincia di Firenze (84,1 anni), seguita dalla provincia autonoma di Trento (83,8 anni). Il valore minimo è rilevato nelle province di Napoli e Caserta (per entrambe 80,7 anni).
Alla nascita l’aspettativa di vita in buona salute a Bolzano è di quasi fino a 70 anni (69,3 per gli uomini e 69,4 anni per le donne) a fronte di una media nazionale di 60 anni per gli uomini e 57 anni e 8 mesi per le donne. I maschi della Calabria e le femmine della Basilicata sono invece ai livelli più bassi, con un’aspettativa di vita in buona salute alla nascita rispettivamente di 51,7 e 50,6 anni.
L’incremento delle professioni qualificate nell’ultimo anno riguarda principalmente le donne (+3,6 per cento contro +0,4 degli uomini) e in termini assoluti, tra i comparti, l’istruzione e la sanità.
Le famiglie in cui sono presenti anziani necessitano, secondo il Rapporto, di aiuti relativi alle prestazioni sanitarie (iniezioni, medicazioni, eccetera): più di un terzo delle coppie senza figli con almeno una persona di 65 anni e più ha ricevuto prestazioni sanitarie, poco meno del doppio del dato medio (18,2 per cento).
Quotidiano sanità – 17 maggio 2018