Il panino e la pizzetta rischiano di battere la pasta al sugo. Si è superata la soglia psicologica del 20 per cento. «Un dato preoccupante per la tenuta del servizio», dicono i rappresentanti delle aziende del settore. Il numero di famiglie che a Torino sceglie il “panino” da casa al posto del pasto in mensa è in crescita. Gli ultimi dati della città dove le famiglie hanno vinto la prima battaglia giudiziaria, facendo da apripista al resto d’Italia, segna un aumento di circa 2 mila bambini rispetto alla scorso anno nella scuola dell’obbligo. Famiglie che vogliono risparmiare sulla retta della mensa, soprattutto quelle più alte, che arrivano a 7,10 euro a pasto. «Il numero di iscritti al servizio di ristorazione scolastica tra elementari e medie ammonta a 27.894, mentre quello degli utenti che consumano il pasto domestico è pari a 7.906», sottolinea il Comune di Torino. Il 22,5 per cento, un bambino su quattro. «Il dato di Torino è preoccupante per la ristorazione. Alla fine il rischio è che la mensa, per compensare le famiglie che hanno deciso di dare il pasto da casa al proprio figlio, costerà di più». Parola di Carlo Scarsciotti, presidente dell’Oricon, l’osservatorio ristorazione collettiva e nutrizione a cui aderiscono le sette principali aziende del settore. «Per fortuna la situazione nel resto del Paese è differente, anche se non bisogna sottovalutare Torino», dice Scarsciotti. «Pensare che ci sono città nel Sud Italia che vorrebbero un servizio di mensa strutturato», aggiunge.
A Roma e Bari il fenomeno domestico è inesistente, a Firenze sono 50 i bambini che portano il pasto da casa. Una scelta presa dalla vicesindaca Cristina Giachi: «I genitori potranno chiedere in qualsiasi momento di rinunciare al servizio mensa, ma una volta fatta la rinuncia poi non si potrà cambiare idea. Varrà per tutto l’anno scolastico». Cosa mangiano a Firenze i bimbi?
Schiacciata, trancio di pizza, tramezzino. E poi ci sono quelli che arrivano con il “tegamino”: un primo o un secondo, poi un frutto. Quasi mai verdura. Sì alla carne, scarsa la presenza di pesce. «Questo è un altro tema importante — sottolinea Scarsciotti — cosa diamo da mangiare ai nostri bambini? C’è un problema di qualità, non solo di costo. I pasti che si mangiano nelle mense italiane sono pensati dai nutrizionisti dell’Asl e rispettano le linee guida del ministero della Salute. Insomma, a scuola si mangia quello che è nutrizionalmente corretto. Le famiglie sono esperte in nutrizione?».
A Bologna la situazione è residuale, 50 bambini su 13.200.
I genitori anni fa fecero una battaglia per migliorare la refezione scolastica e il Comune due anni e mezzo fa ha abbassato la tariffa. In media 6,80 euro. A Genova, dove la resistenza dei presidi è forte, il numero sta crescendo: 371 su 23 mila persone. «Il nodo è proprio questo — sottolinea Giorgio Vecchione, il legale che sostiene i Comitati dei genitori in giro per l’Italia nelle battaglie legali per il pasto libero a scuola — avere una qualità migliore del servizio a fronte di una riduzione delle tariffe». A Roma il “panino” non ha preso perché il costo è basso e il sistema di appalti, dato in gestione ai singoli dirigenti scolastici, soddisfa gli utenti.
«La sindaca Raggi dal 2020 vuole però che tutti gli appalti del settore vengano accentrati — dice Vecchione — temo che la qualità peggiorerà». Tra le città dove le famiglie del “panino da casa” sono in aumento, ci sono Venezia e Verona.
L’assessore alla Scuola di Torino, Federica Patti, punta a diminuire le tariffe dal prossimo anno scolastico, «ma dobbiamo trovare le risorse per farlo, non è un’operazione a costo zero».
Repubblica – 8 aprile 2018