Genova ha fatto scalpore, ma il primo comune in Italia ad autorizzare i dipendenti a portare al lavoro il proprio cane è stato Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza. La sindaca Lucia Fontana ha avuto da altri enti molte richieste sul “Regolamento per la tutela ed il benessere animale e per una migliore convivenza con la collettività umana”, elaborato all’inizio del 2017 per stabilire quando e come sono ammessi «dipendenti non umani». «La nostra iniziativa ha destato molta attenzione — conferma Fontana — e siamo stati contattati dai responsabili di altri uffici comunali. Nel nostro caso l’esperimento va bene, era stata la richiesta precisa di una dipendente, che nei giorni di rientro pomeridiano avrebbe dovuto lasciare il cane da solo a lungo». E mentre a Genova è in corso la sperimentazione cominciata lo scorso gennaio nell’ufficio cultura, altre città avanzano proposte simili. A Torino, uno dei comuni che hanno chiesto informazioni a Castel San Giovanni, già due anni fa un consigliere, Giuseppe Sbriglio, aveva suggerito di consentire l’accesso ai cani dei dipendenti, da estendere anche alle aziende, a patto che si trattasse di animali prelevati dai canili. A Bologna, lo scorso gennaio l’assessora leghista Borgonzoni aveva annunciato una mozione “cani in ufficio”, che aveva raccolto adesioni bipartisan e il parere contrario del sindaco Merola. Ad oggi, fanno sapere dal Comune, la mozione non è mai stata formalizzata e quindi votata.
Così in Italia i non umani sul posto di lavoro restano confinati alla celebrazione, il 23 giugno, della “Giornata mondiale del cane in ufficio”. Ci sono aziende private, colossi tecnologici o del settore cibo per animali, che hanno aperto i loro uffici a cani e gatti, ma è incerto quanti sfruttino l’opportunità. Si moltiplicano i sondaggi sul gradimento degli animali in ufficio per i quali il 41 per cento dei dipendenti come benefit preferirebbe il cane sotto la scrivania all’auto aziendale.
Sempre per gli stessi sondaggi i dipendenti si dividono a metà se devono rispondere alla domanda: “È favorevole ai cani in ufficio?”.
Quali siano i rischi di un animale in un luogo di lavoro lo racconta Mariangela Di Stefano, titolare di Karma Communications, che ha descritto online le avventure del suo cane Newton in ufficio. «Ho chiesto il permesso alle colleghe, ma qualche intoppo c’è stato. Una si è rivelata allergica al suo pelo. E lui è riuscito a sgranocchiare l’apparecchio per i denti lasciato in una borsa aperta». «Diciamo che se si è dell’umore giusto Newton è un’ottima compagnia — le fa eco la sua collaboratrice, Giuliana Mannino — ma nelle giornate storte il cane diventa continuo motivo di dissidio». Non potendo chiedere al diretto interessato se è contento di stare in ufficio, spetta alla veterinaria Sabrina Giussani, ex presidente della Società italiana scienze del comportamento animale, dare un’idea del punto di vista di un cane. «Non si può fare sempre e comunque — dice l’esperta — dipende dall’ambiente e da quante ore si impone al cane di stare al chiuso. In ogni caso, il tempo passato al lavoro non può sostituire quello delle passeggiate. Inoltre ci sono animali che non amano la confusione.
Indispensabile poi assicurare loro una cuccia in un luogo appartato e un periodo di ambientamento, senza far mancare lunghe passeggiate tra una sosta e l’altra».
Repubblica – 4 aprile 2018