Andrea Zambenedetti. Un voto può cambiare la faccia del Veneto. Costringere tutti a comprare una cartina aggiornata, a studiare la nuova geografia e, probabilmente, condizionare anche gli equilibri politici. Il voto è quello emerso da una serie di referendum a cui i veneti si sono sottoposti nel recente passato e a cui potrebbero essere chiamati nell’imminente futuro.
Autonomia di Belluno, Cortina all’Alto Adige, Lamon al Trentino, Cinto Caomaggiore al Friuli Venezia Giulia e, ultimo in ordine di tempo, il quinto remake di Venezia separata da Mestre.
Il divorzio di Mestre da Venezia. Dalle 7 alle 23 di domenica 30 settembre i veneziani e i mestrini saranno chiamati ad esprimersi per la quinta volta sul tema, ad indire la consultazione è stata la Regione. Ora però il Consiglio dei ministri ha impugnato la decisione sollevando un conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale. Venezia e Mestre fanno parte infatti della Città metropolitana e le firme erano state raccolte quando le due anime erano parte dello stesso Comune. Soddisfazione a Ca’ Farsetti, palazzo del Comune. Il sindaco Brugnaro aveva spiegato che in caso di divisione Mestre avrebbe un ruolo alla pari di Prato e Venezia a quello di Pompei. Referendum sospeso, la questione invece resta sul piatto.
L’autonomia di Belluno. Il 22 ottobre 2017 oltre al referendum per autonomia di Veneto e Lombardia gli elettori bellunesi avevano a disposizione una seconda scheda. Il quesito proponeva per la provincia montana il riconoscimento di una maggiore specificità in materia di risorse finanziarie nell’ambito delle intese Stato-Regioni. Quorum raggiunto, risposta affermativa che supera il 98 per cento. Da quella data poco sembra cambiato. Ma il presidente della regione Luca Zaia ha promesso di puntare ad un Veneto autonomo con tutte le province a loro volta più autonome. Se dalla carta geografica del Veneto non sparirà comunque l’intera provincia di Belluno (che secondo la Corte costituzionale non può diventare la terza provincia autonoma come Trento e Bolzano) stessa sorte non è però scontata per il più famoso dei capoluoghi delle Dolomiti Unesco.
Cortina guarda all’Alto Adige. Sono passati quasi 11 anni dal referendum di ottobre del 2007 quando i tre Comuni della «Ladinia» Cortina, Livinallongo Col di Lana e Colle Santa Lucia si sono espressi per lasciare la compagine Veneta. L’Alto Adige non ha mai smesso di sperarci. Il giorno dell’insediamento del Senato il nipote dell’ex presidente di Bolzano, il senatore Meinhard Durnwalder, ha ripresentato il disegno di legge per l’annessione dei Comuni ladini al Trentino. «Faceva parte di un pacchetto più ampio che noi della Svp abbiamo depositato», ha spiegato nei giorni scorsi, ma intanto la questione torna bollente.
In principio fu il Comune del fagiolo. A continuare a sognare la provincia di Trento c’è Lamon, famoso per i legumi Igp. Le speranze per il Comune che aveva raggiunto il quorum nel 2005, con la maggior parte dei residenti che erano pronti ad andare al Trentino, sono destinate ad affievolirsi con il passare del tempo. Trasformando quel voto in una consultazione priva di efficacia. Stessa sorte per Cinto Caomaggiore che potrebbe limare ad Ovest la carta geografica: nel 2006, il quorum ampiamente superato sembrava lasciare uno spiraglio per il passaggio del Comune al Friuli. A loro non è riuscita l’impresa che ha aperto le porte friulane a Sappada lo scorso autunno.
La spinta autonomista è sicuramente il denominatore di quei referendum, nati con il desiderio di cambiare la carta geografica. Un’aspirazione mai nascosta della Lega Nord degli albori, che puntava addirittura la nascita della Padania. Ora che la Lega ha detto addio alla parola «Nord», raccogliendo voti in tutto lo Stivale, cosa succederà nella Liga Veneta, che nei referendum autonomisti ha comunque sempre giocato un ruolo di primo piano?
Una domanda a cui non può rispondere la carta geografica.
La Stampa – 30 marzo 2018