Capire quanto possono incidere sulla salute dell’individuo adulto le esposizioni a inquinanti ambientali dei primi 1000 giorni di vita (nei 9 mesi della gestazione fino al secondo anno di età). Questo l’obiettivo di un progetto biennale, coordinato dall’Irccs Burlo Garofolo di Trieste, che include oltre al Friuli Venezia Giulia, anche Piemonte, Toscana, Lazio e Sicilia. I primi 1000 giorni di vita, dal concepimento fino al secondo anno, sono infatti cruciali: in questo periodo si pongono le basi per la salute mentale, cardiometabolica e respiratoria. L’esposizione precoce a fattori chimici, fisici e, in genere, a determinanti ambientali spesso ha un impatto negativo sull’evoluzione del feto e del neonato, e ne influenza lo sviluppo cognitivo e fisico in epoche successive.
Il progetto, finanziato dal ministero della Salute, Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm), ha tra i partner operativi l’Università di Torino, l’Ospedale pediatrico Meyer di Firenze, il Dipartimento di Epidemiologia del Ssr del Lazio – Asl Roma 1, l’Istituto superiore di Sanità, la Uo Neonatologia e pediatria Usl Toscana Nord Ovest e l’Istituto di Biomedicina e Immunologia molecolare (Cnr) di Palermo, assieme alla Regione Friuli Venezia Giulia. «Obiettivo primario è stilare una mappa, per ora nelle cinque Regioni italiane pilota, del carico di esposizione ambientale delle donne in gravidanza e dei neonati fino a 24 mesi», spiega Luca Ronfani, pediatra epidemiologo del Burlo e responsabile scientifico del progetto. «I dati che produrremo – aggiunge – serviranno ai decisori politico-sanitari per pianificare interventi di prevenzione in sanità pubblica, in un settore delicato come quello materno-infantile».
Le informazioni – organizzate in modo sistematico su un portale dedicato – saranno inoltre a disposizione degli operatori sanitari in forma più tecnica, mentre sezioni più divulgative saranno accessibili alla popolazione e serviranno a sensibilizzare i cittadini sui rischi derivanti dall’esposizione agli inquinanti ambientali.
Un terzo obiettivo sarà l’allestimento di un protocollo di monitoraggio della popolazione che abita nei cosiddetti siti di interesse nazionale (Sin), aree contaminate classificate come pericolose dallo stato e che necessitano di bonifica. Per il Friuli Venezia Giulia si prenderanno in esame Trieste e la Laguna di Grado e Marano in provincia di Gorizia; per la Sicilia i Sin di Milazzo/Valle del Mela e Augusta/Priolo; mentre per il Lazio la zona di Valle del Sacco. Questo protocollo, una volta validato, potrà essere adottato da altre Regioni con opportuni adeguamenti.
Georeferenziazione e analisi molecolare. Il progetto si avvarrà dei dati e dei campioni biologici raccolti nell’ambito di un precedente progetto, la coorte di nati Piccolipiù, che ha reclutato più di 3000 nuovi nati tra il 2011 e il 2013. Un aspetto innovativo del progetto sarà la georeferenziazione dei partecipanti alla coorte Piccolipiù sulla base della loro residenza in gravidanza e alla nascita. Usando dati satellitari a elevata risoluzione spaziale e temporale i territori in esame verranno suddivisi in griglie di 1 km, per ottenere stime più precise degli inquinanti ambientali (atmosferici). Conoscendo l’indirizzo dei partecipanti allo studio (vicinanza ad autostrade, aree verdi ecc.), sarà possibile ascrivere a ciascuna griglia – e dunque alla presenza/assenza di particolari inquinanti – ogni coppia mamma-bambino.
Campioni di sangue da cordone ombelicale e venoso prelevati in momenti diversi alle donne e ai bambini della coorte Piccolipiù serviranno a individuare alterazioni molecolari indicative di esposizione ambientale nociva. «L’esposizione ad agenti chimici e fisici può modificare l’attività dei geni – attivandoli o silenziandoli in momenti sbagliati – senza che vi siano reali alterazioni (mutazioni) nella sequenza di basi di Dna», spiega Ronfani. «Modifiche epigenetiche come la metilazione, cioè l’aggiunta di un gruppo chimico al Dna, possono avere impatto sulla salute specie se si verificano in età precoce».
Oltre alla metilazione del Dna, i ricercatori esamineranno la lunghezza dei telomeri, cioè le estremità dei cromosomi che, già alla nascita, sono diversi da individuo a individuo, forse come conseguenza al carico di esposizione vissuto dal feto durante la vita intrauterina. Un altro aspetto che sarà interessante indagare.
«I dati che raccoglieremo serviranno a identificare aree di priorità e a mettere a punto proposte di intervento mirate a ridurre il carico di esposizione ambientale su madri e neonati», conclude Ronfani. «Ciò consentirà di avere un impatto positivo sulla salute della popolazione materno-infantile nel breve, ma soprattutto nel lungo periodo». Il cosiddetto “effetto lifetime”.
Il Sole 24 Ore – 29 marzo 2018