Portarsi a casa ogni gattino miagolante trovato sotto l’auto non prova con certezza di essere amanti degli animali. Tutt’altro. C’è un termine che indica gli accumulatori di animali, animal hoarder, e i servizi comunali delle maggiori città italiane si attrezzano per soccorrere cani, gatti, furetti e piccioni rinchiusi a decine in appartamenti dove chi li ha adottati finisce per non fare il loro bene. Il fenomeno è percepito in aumento a Milano, Roma, Bologna e Napoli.
«L’incremento è difficile da quantificare — dice Paolo Pandolfi, direttore del dipartimento di sanità pubblica di Bologna — ma è evidente che i casi sono in aumento. È uno dei problemi legati agli spazi ristretti delle case in città e alla solitudine degli anziani».
A Milano, qualche mese fa, la polizia locale ha riunito psichiatri, veterinari e responsabili della sanità pubblica. L’incontro era stato sollecitato dopo il sequestro, a Senago, di 38 gatti e 18 cani segregati in un appartamento.
Interessante la motivazione dell’intervento: il problema non era soltanto di carattere igienico, al proprietario è stato contestato il reato di maltrattamento, abbandono e detenzione di animali in condizioni incompatibili. «Un approccio multidisciplinare è essenziale — spiega Sonia Magistrelli, responsabile del canile sanitario di Milano — perché non stanno male soltanto gli animali, ma anche le persone che li accumulano. Costringono a vivere gli animali nello stesso modo in cui vivono loro, cioè male. E a ragione si collega il fenomeno alle grandi città: ho lavorato in centri piccoli e raramente si vedevano certi eccessi, il controllo sociale impediva si arrivasse a situazioni drammatiche come a Milano».
Gli operatori raccontano di appartamenti sgomberati perché per l’accumulo si rischiava il crollo. Di persone benestanti che ammassavano materassi perché gli animali li usassero come lettiere, senza però riuscire a evitare le chiazze di bagnato sul soffitto del vicino.
Di accumulatori di piccioni, con il problema di liberarsi del guano, e di appartamenti di 40 metri quadri in cui 15 cani potevano muoversi a fatica.
«Il disturbo è riconosciuto, ma chi accumula animali è diverso da chi ammassa oggetti e gli studi specifici sono ancora pochi — osserva lo psichiatra Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di neuroscienze del Fatebenefratelli di Milano — Sono soprattutto persone adulte o mature, in prevalenza donne, e spesso hanno subito una perdita o un lutto. Non c’entrano le disponiblità economiche, il loro livello di consapevolezza è basso e non si mettono il problema se si stanno prendendo cura degli animali nel modo giusto, gli attribuiscono caratteristiche umane».
È cambiata la sensibilità dei vicini, che non segnalano più soltanto la puzza. «Notiamo che chi ci avvisa si preoccupa delle condizioni degli animali — dice Roberta Gaeta, assessora alle Politiche sociali del comune di Napoli, con delega alla tutela degli animali — e valutiamo caso per caso, perché non si può ignorare che, comunque, esiste una relazione affettiva tra gli animali e chi li ha accolti».
A Roma è allo studio un nuovo regolamento comunale, perché c’è al momento soltanto un accordo stato regioni sul numero di animali e fattrici che definisce un allevamento. Ma nessuna norma specifica quanti animali si possono tenere in casa senza maltrattarli. «Per la prima volta parleremo espressamente di animal hoarding — anticipa Roberta Matassa, direttrice dell’ufficio tutela animale di Roma— perché abbiamo visto il fenomeno aumentare negli anni, con case e ville trasformate in canili e gattili invivibili. Non metteremo però un limite, perché ogni caso va valutato a parte, tenendo conto del benessere sia degli umani, sia degli animali».
Repubblica – 13 marzo 2018