di Enrico Marro. La spesa per le pensioni, dopo tutte le riforme, è sotto controllo e, contrariamente a quanto si creda, è sostanzialmente in linea con la media Ue. Ciò che invece appare fuori controllo è la spesa per l’assistenza sociale, a totale carico della fiscalità generale. Si tratta di circa 33 miliardi di euro nel 2016 tra pensioni d’invalidità, indennità di accompagnamento, pensioni sociali, integrazioni al minimo e altro ancora. Di qui la necessità di separare il bilancio della spesa per le pensioni da quello per l’assistenza. Questo, in sintesi, il messaggio del quinto Rapporto sul sistema previdenziale italiano messo a punto da Itinerari previdenziali e presentato ieri alla Camera. «Abbiamo imbullonato il sistema delle pensioni e si è scaricato tutto sulle prestazioni assistenziali», spiega Alberto Brambilla, presidente di Itinerari previdenziali ed ex capo del Nucleo di valutazione della spesa presso il ministero del Lavoro, che fino al 2012 ha prodotto un rapporto simile. Mentre nel 2003 le prestazioni previdenziali rappresentavano il 62,4% di tutti gli assegni liquidati quell’anno contro il 37,6% di quelle assistenziali nel 2016 il rapporto si è capovolto: le nuove prestazioni assistenziali sono state il 53,2% del totale, quelle previdenziali il 46,8%. Passando allo stock, su 16 milioni di pensioni in pagamento, quelle totalmente o parzialmente assistite sono 8,2 milioni, il 51%.
Quest’anno il volume preparato da un gruppo di studiosi del welfare vuole offrire un punto di vista diverso, che ha suscitato un vivace dibattito già durante la presentazione fra lo stesso Brambilla e il consigliere economico della presidenza del Consiglio, Marco Leonardi. Quest’ultimo, infatti, ha criticato l’impostazione del rapporto, osservando che una eventuale separazione del bilancio della previdenza da quello dell’assistenza non risolverebbe i problemi, tanto più se lo scopo fosse quello di spendere di più per le pensioni, perché a causa dell’invecchiamento della popolazione «non c’è affatto da stare tranquilli» sul futuro. Un punto quest’ultimo condiviso anche dal viceministro dell’Economia, Enrico Morando. Del resto, lo stesso Brambilla ha sottolineato che per tutto il welfare, cioè «sanità, pensioni e assistenza spendiamo il 57,3% delle entrate, più della Svezia». Il presidente di Itinerari previdenziali ha però tenuto il punto, dicendo che la separazione della previdenza dall’assistenza è necessaria sia per non dare informazioni sbagliate alla Commissione europea che poi chiede nuovi tagli alle pensioni sia per «evitare ulteriori travasi» si spesa a svantaggio di chi lavora. Promettere, per esempio, come sta avvenendo in campagna elettorale, di portare le pensioni minime a mille euro significa fare assistenza a favore di chi non ha versato contributi, mentre altri propongono di tagliare le cosiddette pensioni d’oro che però spesso hanno alle spalle molti versamenti. Polemiche a parte, vale la pena di ricordare che di separazione tra previdenza e assistenza si parla da una ventina d’anni e che la legge di Bilancio prevede che se ne occupi una commissione di esperti. Sarà la volta buona?
Per il resto il rapporto è ricco di spunti. C’è per esempio un focus sulle pensioni e vitalizi degli organi costituzionali: Camera, Senato, presidenza della Repubblica, Corte costituzionale. Si va dai 199 mila euro lordi in media per i vitalizi in pagamento a 22 ex giudici della Consulta ai 73 mila euro medi per i vitalizi a 1.464 ex deputati ai 67 mila euro per quelli di 810 ex senatori fino a circa 56 mila euro per il personale di Camera e Senato in pensione (53 mila euro per quelli del Quirinale e della Corte costituzionale) . Infine, i vitalizi in pagamento per gli ex consiglieri regionali sono 2.580 e ammontano in media a 47 mila euro lordi all’anno.
Il Corriere della Sera – 22 febbraio 2018