No: il mais ogm non è pericoloso per la salute. Oggi lo si può dire con il conforto di una statistica solida: quella di ventuno anni di ricerche condotte da scienziati di tutto il mondo su coltivazioni di Asia, Europa, Stati Uniti, Sudamerica, Africa e Australia, sintetizzate su “Scientific Reports” da un gruppo di scienziati della Scuola Superiore Sant’Anna e dell’Università di Pisa. I 21 anni di ricerche corrispondono a quelli di coltivazione a livello mondiale, da quando si piantò il primo seme in Usa, a quando, nel 2016, i campi di mais ogm hanno coperto 180 milioni di ettari su tutto il pianeta. Intanto, gli scienziati raccoglievano informazioni, e i risultati sono quelli che seguono.
Lo studio italiano (una meta-analisi, cioè un’analisi di altre analisi) ha raccolto 11699 dati pubblicati «su riviste di alto valore scientifico» assicura Laura Ercoli, professoressa di Agronomia generale e coltivazioni erbacee alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. E ha selezionato «con grande severità metodologica» i dati più sicuri, mostrando non solo che il mais ogm ha una produttività tra il 6 e il 24,5% maggiore rispetto a quello non ogm, ma anche che è per il 28,8% meno contaminato da micotossine. Tra queste, fumonisine e tricoteceni, pericolose in gravidanza e potenzialmente cancerogene, sono risultate più basse del 30,6% e del 36,5%. Come si spiega? «Le tossine sono prodotte da funghi che si sviluppano sulle piante danneggiate dagli insetti», prosegue Ercoli, e gli insetti sono proprio il target della modificazione genetica della pianta, che è «fatta apposta» per resistere loro. Quanto agli insetti non dannosi, «su di loro non si sono visti effetti significativi».
Va detto che, nell’annoso dibattito ogm sì – ogm no, la questione delle tossine è stata finora poco considerata. Invece, sottolinea Roberto Defez, biotecnologo del Cnr, «è enorme, soprattutto per le coltivazioni italiane che sono particolarmente colpite dalle fumonisine: metà del nostro mais, infatti, è inutilizzabile per l’alimentazione umana e ne dobbiamo importare sempre di più». Lo conferma Michele Morgante, professore di genetica all’Università di Udine, che sintetizza: «Questa ricerca quindi non dimostra che gli ogm non fanno male. Dimostra che gli ogm fanno bene!». Non solo alla nostra salute ma anche alla nostra economia, considerando per di più, precisa Defez, «che il mais in questione non è sotto brevetto da almeno tre anni». Infine, per la riduzione di scarti e importazioni, gli ogm «fanno bene al nostro ambiente».
Certo, il dibattito non si chiude qui. Perché gli ogm non sono soltanto il mais, e non si può parlare solo di micotossine. E se Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, in prima battuta festeggia («se la notizia verrà confermata è bellissimo!»), per lui il problema resta: «Ci sono due questioni ancora sul tappeto». La prima: «L’invasività delle coltivazioni ogm, per cui un colpo di vento potrebbe spargere semi nei campi di agricoltura biologica, ledendo il diritto a coltivare non-ogm». E la seconda: «La proprietà di queste sementi è in mano a pochi, come tutto il sistema alimentare globale.
Poche multinazionali possiedono sementi, fertilizzanti, medicine, prodotti trasformati». Mentre per la senatrice Elena Cattaneo, la conferma di cui sopra non serve: «Questa ricerca è di per sé una conferma di quanto scientificamente già appurato da tempo». E, prosegue, «chi sventola sondaggi d’opinione per difendere divieti legali imposti a tutti i coltivatori e ricercatori lo fa dopo decenni di bufale che hanno creato, sul tema, un senso comune alienato. Ancora oggi non pochi consumatori credono nell’esistenza di una fantomatica fragola-pesce».
Su questi argomenti, Laura Ercoli non commenta: «Noi vogliamo fornire al dibattito dati scientifici validi e rigorosi. E ci teniamo ad aggiungere che il nostro è un lavoro indipendente, libero da qualsiasi condizionamento o pressione».
Repubblica – 16 febbraio 2018