Abbiamo cominciato a contare tutti insieme, pesci, anfibi, uccelli e mammiferi. Poi noi umani abbiamo elaborato il sistema per dare a quelle quantità un simbolo e calcolare in astratto. Ma il germe della matematica è comune ed è lo stesso che ha portato noi a elaborare formule complesse e le rane tungara a contare i richiami d’amore dei rivali e aggiungerne sempre uno in più, per conquistare le femmine.
Gli ultimi studi di biologi, etologi e neuroscienziati analizzano con sempre maggior precisione perché i cani possono calcolare la traiettoria più breve per raggiungere un bastone lanciato in diagonale, i ratti riescono a contare quante volte devono premere la leva per ottenere del cibo, o i corvi confrontano grandezze di due insiemi. E perché scimpanzé cresciuti in laboratorio sviluppano abilità di riconoscere sequenze numeriche pari ai nostri bimbi e migliori di noi adulti, che con l’età le perdiamo sostituendole con altre.
A fare il punto sulle ultime scoperte sono gli atti del convegno Le origini delle abilità numeriche.
appena pubblicati dalla Royal Society di Londra. Tra gli autori e relatori Giorgio Vallortigara, neuroscienziato del Centro Mente/Cervello dell’Università di Trento. «È affascinante che l’uso dei numeri sia biologicamente così antico» sottolinea Vallortigara «e che probabilmente anche le nostre capacità più sofisticate, quelle poi esplose nella matematica, siano riconducibili a una base biologica comune con altri animali». Se, come detto, soltanto l’uomo usa simboli per calcolare, Vallortigara spiega che «in questi anni si sono accumulate evidenze per provare che capacità di stima della numerosità sono presenti in una grande varietà di specie animali».
Perché contare è sopravvivere.
Varie specie di pesci scelgono di stare nel banco più numeroso: sanno che avere tanti simili intorno equivale a maggiori possibilità di sfuggire a un predatore. Valutare qual è il posto dove il cibo è più abbondante è indispensabile per nutrirsi. O, come succede ai branchi di iene, considerare il numero di richiami provenienti da altri gruppi serve a decidere se tenersi alla larga da una carcassa perché si è in pochi.
«Come gli uomini, gli animali compiono queste valutazioni sulla base di un meccanismo, l’ “Ans” (Approximate number system), che consente di stimare la numerosità» dice Vallortigara.
«Con questo sistema si possono fare operazioni aritmetiche come addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione. Tali capacità di aritmetica elementare approssimata si osservano in tutte le specie e si ipotizza che il meccanismo sia molto antico, comparso nei primi pesci e da loro trasferito ad anfibi, rettili, uccelli e mammiferi moderni».
I ricercatori si concentrano ora sui meccanismi cerebrali. «In certe regioni del cervello» spiega ancora il neuroscienziato «ci sono neuroni che rispondono alla numerosità». In pratica, quando la scimmietta vede nel cielo uno stormo con quattro uccelli, un neurone nel suo cervello aumenta la frequenza di scarica in maniera massima. Se ne vede meno la frequenza di scarica diminuisce.
«È come se questi neuroni fossero dei filtri, che rispondono in massima misura a una certa numerosità e rispondono meno man mano che ci allontaniamo da questa numerosità», precisa Vallortigara. Indagare sul loro funzionamento non serve solo a conoscere le capacità animali in matematica, ma in prospettiva a curare disturbi come l’acalculia, la difficoltà di calcolo negli umani.
Repubblica – 9 febbraio 2018