Artrosi, mal di schiena, tendiniti, la Regione vara il piano per limitare le risonanze magnetiche per gli over 65. Chiaro il messaggio rivolto a medici di famiglia e specialisti: bisogna «incrementare l’appropriatezza prescrittiva» con un «particolare riguardo al consumo di risorse socio-sanitarie». Tradotto: cari medici di base, prescrivete meno risonanze agli anziani perché gli esami costano. Firmato: Regione Veneto. Le indicazioni per raggiungere l’obiettivo, evitare l’eccesso di esami inutili, sono state messe nero su bianco in un documento che detta le linee guida per stabilire quali assistiti devono eseguire indagine radiologica e quali invece devono essere trattati in altro modo. Il documento è stato redatto sulla base di una relazione di un gruppo di studio formato da addetti ai lavori, medici delle diverse specialità interessate. Il discrimine è la variabile anagrafica. Destinatari del provvedimento «i soggetti di età maggiore ai 65 anni» che sono anche i più colpiti da acciacchi quali lombalgia, artrosi, lesioni osteo-articolari o che coinvolgono tendini e legamenti. Ad eccezione dei “redflags” (allarmi rossi) che riguardano un sospetto di frattura vertebrale, infezione, neoplasia e altre lesioni significative, la Regione invita i medici a «non eseguire indagini radiologiche (radiografie, Tc e Rm) entro le prime quattro-sei settimane dall’esordio dei sintomi». L’intento è di dare una sforbiciata alle 269 mila prestazioni di risonanza magnetica della colonna e muscoloscheletrica che vengono fatte ogni anno in Veneto, di cui 67 mila riguardano soggetti ultra65enni, che nel 55% dei casi si sottopongono a Rm muscoloscheletrica. Nell’Usl 2 le risonanze complessive sono 35.019, di cui 11.597 pari al 27% riguardano over 65. «Sono abbastanza, dovremo lavorare con gli specialisti per ridurle un po’», commenta il direttore generale Francesco Benazzi. Quanto mai difficile trovare il punto di equilibrio tra i margini di risparmio per le casse regionali e le reali necessità dei pazienti che hanno diritto alla salute. Dubbiosi i sindacati e la categoria medica. «L’appropriatezza è importante ma dovrebbe valere per tutti al di là dell’età. Ben venga stimolare la corretta prescrizione, evitando gli esami inutili, e magari preferendone altri (ugualmente idonei ma meno costosi) per indagare una sospetta patologia, ma va tenuta presente la posizione del medico, non solo la burocrazia. Non funziona sempre l’equazione tanti pazienti, tante linee guida», sottolinea Ivan Bernini, segretario generale Fp-Cgil. Altro aspetto riguarda la necessità di risparmiare su tipologie d’esame molto diffuse quanto gravose per le casse del Sistema Sanitario. «Bisogna limare i costi, ma decisioni di questo tipo vanno condivise con i medici», aggiunge Bernini. Tutti concordano sulla necessità di abbattere lo “spreco prescrittivo” ma i medici rivendicando l’autonomia della professione. «Più che condivisibile la sfida di adoperare in modo ottimale le risorse, ma non va dimenticato il diritto-dovere deontologico del medico di curare al meglio il paziente. Non a caso, per arrivare alla cura serve la diagnosi», sottolinea Luigino Guarini, presidente dell’Ordine dei Medici di Treviso. La categoria cita il giuramento di Ippocrate. «In campo medico si deve agire secondo scienza e coscienza, in base ai sintomi e alla situazione clinica che si ha di fronte», conclude, «il medico deve cercare di evitare l’errore e il ritardo diagnostico. La sottovalutazione può danneggiare il paziente e allo stesso tempo esporre il professionista a rischio legale».
LA TRIBUNA DI TREVISO – Mercoledì, 7 febbraio 2018