La carenza di personale e la necessità di svolgere turni sempre più pesanti per quelli che restano, stanno mettendo sempre più i difficoltà medici ospedalieri e infermieri. Il malcontento cresce, tanto che le due categorie hanno deciso di scioperare: i primi il 23 febbraio, gli altri il 26. «È da tempo che lamentiamo una cronica carenza d’organico nel sistema sanitario nazionale», precisa Luca Barutta, dell’Anaao bellunese. «Nel 2017 la Regione ha costituito un tavolo tecnico con le organizzazioni sindacali. Da questo tavolo sono uscite due delibere: la 245 del marzo 2017 per le dotazioni minime del Pronto Soccorso e la 1883 del 14 novembre 2017 per le Chirurgie e le Medicine generali. I Pronto soccorso della nostra Usl non soddisfano i requisiti della delibera e le medicine e le chirurgie sono sotto organico cronico, con i medici costretti a surplus orari, che in alcuni casi oltrepassano le 300 ore annue». Barutta passa ai numeri: «Il Pronto soccorso di Belluno ha una dotazione di nove unità, ma con una media di 40 mila accessi l’anno i medici dovrebbero essere almeno 12, oltre al primario. La Chirurgia, sempre di Belluno, ha otto medici, con una guardia attiva: dovrebbero essere 12 più il primario. La situazione è analoga per la Medicina generale. In sofferenza anche l’unicità di Anestesia: un paio di medici sono andati in pensione nel 2017 e i colleghi che rimangano sono costretti a suddividersi le ore dei mancanti». Per questo motivo, il 23 febbraio i medici torneranno in piazza, «come avevamo fatto a dicembre». Problemi anche per gli infermieri, alle prese con la carenza di personale nei reparti e costretti a turni pesanti. «Il comparto deve fare i conti con i valori imposti dalla Regione Veneto, che si riferiscono ai minimi assistenziali, mentre l’intensità di cura e i carichi di lavoro sono sempre più in aumento», precisano Guerrino Silvestrini e Lorella Vidori, rispettivamente segretario regionale e delegata bellunese del Nursing Up, il sindacato di categoria. «Quello che rivendichiamo», precisa Vidori, «è che ci venga riconosciuta la nostra funzione e che venga istituita un’area separata di contrattazione per i colleghi. In più, chiediamo una indennità notturna e festiva più alta, la possibilità che ci vengano riconosciute due ore settimanali per la formazione e che ci venga diminuito l’orario di lavoro di un’ora a settimana». La situazione nel settore della sanità è incandescente e non pare avere una soluzione nell’immediato. Disagi in vista, quindi, per gli utenti. (p.d.a.)
IL CORRIERE DELLE ALPI – Giovedì, 01 febbraio 2018