Certo, si sapeva. Si sapeva che un pulcino, un capretto da latte, un bufalo neonato e anche, in misura diversa, un vitellino o un maialino — se nati maschi — non possono certo dirsi fortunati. “Controsessi”, li chiamano. In un allevamento di galline ovaiole, di capre da latte o in una stalla, la femmina è quella che produce reddito, il maschio no e per questo suo “contro sesso” viene eliminato. Come? Ci sono state denunce pesantissime, da parte delle associazioni animaliste. Pulcini schiacciati, annutoli (i piccoli dei bufali) lasciati morire di fame o buttati nel letame, capretti che non si sa come spariscono dagli allevamenti. Ma adesso, a denunciare questa strage nascosta, è per la prima volta la Fve (Federation of veterinarians of Europe) che in un lungo documento (Fve position on killing unwanted offspring in farm animal production)
accende i riflettori su questa «uccisione della progenie indesiderata nell’allevamento animale».
Per la prima volta — dice Giacomo (Mino) Tolasi, il medico veterinario che per l’Italia ha partecipato alla stesura del documento Fve — cerchiamo di uscire da una zona grigia. I maschi eliminati? Si sapeva, non si sapeva, e comunque non se ne parlava ufficialmente. Ora la Fve dice: il problema c’è, e dobbiamo risolverlo con soluzioni etiche e scientifiche». Trecento milioni i pulcini maschi di galline ovaiole eliminati ogni anno in Europa, meno conosciuti ma comunque importanti i numeri delle altre specie. «Il documento è come una legge quadro. Ora bisogna aspettare i decreti delegati, per sapere come applicarla». La “legge” è comunque una svolta. «I veterinari — dice la Fve — debbono contribuire a evitare la produzione di animali in surplus o indesiderati. Negli allevamenti non possono valere soltanto le ragioni economiche ma anche l’etica. I cittadini-consumatori debbono essere informati del costo etico degli abbattimenti di animali sani, perché solo così si può generare un interesse pubblico alla ricerca di soluzioni».
C’è poi la proposta di «stimolare la domanda dei consumatori nei confronti di carni di animali maschi (ad esempio bufali o caprini da latte) che siano state allevati humanely, umanamente». Gli abbattimenti, anche se «intrapresi solo riducendo al massimo la sofferenza» hanno comunque un “costo etico” che i veterinari devono ricordare sia ai consumatori che agli allevatori.
«Il settore più colpito — racconta Tolasi, che è vice presidente Sivar (Società veterinari per animali da reddito— è quello delle ovaiole. I loro pulcini maschi non possono essere trasferiti fra i polli da carne, perché di razza diversa e non produttiva. Per questo vengono eliminati. Per fortuna ora c’è una tecnica che permette di conoscere il sesso già nell’uovo, che viene eliminato prima della nascita del pulcino. Pesante è anche la situazione dei bufalini, perché la carne di bufalo ha un mercato ancora scarso».
«Per i vitelli — racconta Tolasi, che è buiatra, veterinario dei bovini — rispetto al Nord Europa siamo messi meglio. Oltre al vitello da latte di carne bianca come al Nord — viene portato a 150 chili in 6 mesi — abbiamo i vitelloni di 18 mesi e del peso di 6,5 quintali. E sta andando bene anche il “seme sessato”, che permette di sapere prima se nascerà un vitello o una vitella. Funziona nel 95% dei casi».
Più duro il destino dei capretti. Per fornire l’industria del latte di capra, in ascesa, si attua la “destagionalizzazione”. Una capra, in natura, partorisce una volta all’anno, ma negli ultimi due mesi di gravidanza va “in secca”. Per non togliere il rifornimento all’industria, si allunga la giornata delle capre con le luci accese nella stalla e così l’animale va in calore in tempi diversi. Chi ad esempio ha 400 capre, mette in lattazione 200 animali in estate e 200 in inverno, o tutti e 400 in qualche mese. I capretti che nascono non nei giorni di Pasqua o di Ramadan non hanno mercato e semplicemente scompaiono. «Per arrivare a 15 chili di peso in 2 mesi il capretto costa 45 euro fra latte in polvere, manodopera e macellazione. Non si riesce a venderlo».
«Il documento Fve ci dice che il problema esiste e che non possiamo fare finta di nulla. Ci dice anche che l’allevatore ha la facoltà di sopprimerli, seguendo però regole che ancora non sono state scritte. Per l’anestesia prima della castrazione, ad esempio, ci sono moderne camere con azoto ma ci sono ancora in giro i “castrini” che operano come un tempo. Per l’eutanasia ci sono farmaci che per una vacca costano 30 — 50 euro più la prestazione del veterinario, ma sono in giro anche i “raccatta carogne” che si offrono di fare tutto loro. Temi duri. Ma è la realtà dell’allevamento da reddito. Problemi che ancora una volta provocheranno le reazioni degli animalisti. Noi pensiamo comunque di aver fatto un passo avanti. E ne faremo altri. Con scienza ed etica».
Repubblica – 28 gennaio 2018