Secondo Fiaso è anche necessaria una selezione del top management aziendale in funzione della mission e della tipologia di azienda da dirigere. Le proposte – raccolte in un volume presentato alla Camera – sono state illustrate dalla Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere che sottolinea l’esigenza di rifare il tagliando al Servizio sanitario a quasi 40 anni dalla sua legge costitutiva, la “833” del ’78 e oltre 25 anni dal Dlgs “502” che ha introdotto le Aziende nel sistema.
Servono almeno 5 miliardi l’anno per l’innovazione. E il terzo laboratorio Fiaso sulla governance propone per questo un Fondo straordinario del Ssn, aggiuntivo al Fondo sanitario e che duri 5-10 anni.
Poi va abbandonato il principio dell’ “uomo solo al comando” per le aziende sanitarie e al direttore generale vanno affiancate strutture di condivisione e collegialità, dal board fino al consiglio di amministrazione.
Ancora secondo Fiaso è necessaria una selezione del top management aziendale in funzione della mission e della tipologia di azienda da dirigere.
E anche un investimento nel middle management per consentire la crescita dei quadri esistenti ma anche per coltivare il vivaio dei futuri top manager.
Sono le quattro mosse che la Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere propone per rifare il tagliando al Servizio sanitario a quasi 40 anni dalla sua legge costitutiva, la “833” del ’78 e oltre 25 anni dal Dlgs “502” che ha introdotto le Aziende nel sistema.
Per fare il punto sul processo di aziendalizzazione del Ssn, Fiaso ha voluto analizzare la pluralità di soluzioni adottate sotto il nome di “Azienda”, avanzando le sue proposte di rilancio del servizio pubblico attraverso il terzo Laboratorio sulla Governance, che ha ricostruito il percorso logico del cambiamento nel volume “Aziende e management per il futuro del Ssn” presentato oggi alla Camera e curato dal presidente della Federazione, Francesco Ripa di Meana, dal direttore, Nicola Pinelli, dai professori Mario Del Vecchio e Anna Romiti dell’Università di Firenze e dal Dg della Asl Rm1, Angelo Tanese.
Il Fondo straordinario per l’innovazione
“Se il settore sanitario può giustamente essere considerato strategico in un Paese ricco di saperi e capacità produttive come il nostro, allora c’è bisogno di un grande progetto di sistema, dotato di un Fondo straordinario e pluriennale per l’innovazione, svincolato dalla gestione corrente e aggiuntivo al Fsn annuale. Un fondo da almeno 5 miliardi l’anno per i prossimi 5-10 anni”, ha affermato Ripa di Meana.
Un Fondo rivolto a sostenere progetti che :
• permettano al sistema di fare ricerca continua e di dotarsi delle migliori tecniche e tecnologie innovative, e adeguati sistemi informativi (strategia nazionale HTA);
• garantiscano l’implementazione di sistemi informativi finalizzati alla migliore organizzazione e qualità dell’assistenza e alla piena compliance con la privacy e la protezione dei dati;
• rendano meno difficile l’accesso dei pazienti alle tecniche e alle terapie innovative contribuendo a rendere il nostro sistema pienamente efficace;
• permettano di valorizzare il personale del SSN quale risorsa imprescindibile per garantire qualità e sostenibilità attraverso l’innovazione clinico assistenziale ma anche gestionale;
• definiscano nuove opportunità di inserimento per i neo laureati (medici e delle altre professioni sanitarie) in posizioni collegate all’attivazione di nuovi servizi e competenze come quelle di gestione integrata del paziente che potranno diventare il motore del futuro del sistema.
Aziende aperte alla collegialità e alla cooperazione
“Le riforme attuate dai Ssr negli ultimi anni – afferma ancora Ripa di Meana- rafforzano logiche di governance di gruppo regionale e richiedono un quadro programmatorio definito in cui inserire il percorso di sviluppo del Ssr e le mission assegnate alle aziende. In un contesto ad alta complessità e strutturalmente ad elevato grado di decentramento, occorre trovare soluzioni per favorire una maggiore collegialità e trasparenza del processo decisionale del top management e definire, per i diversi ambiti di azione -regionale, ente intermedio, azienda, management- poteri e responsabilità da contemperare secondo i bisogni di accountability, efficienza e autonomia nell’attività di governo e in quella operativa”.
“Con aziende di sempre più vasta dimensione se non si vuole risucchiare il Dg nel campo della politica o renderlo un semplice esecutore di scelte operate al di fuori delle sue competenze – aggiunge – occorrerà colmare la distanza che oggi separa il momento della decisione da quello dell’operatività attraverso strutture di condivisione e collegialità, dal board al consiglio di amministrazione. Luoghi per rappresentare meglio la complessità dei bisogni di salute e assistenza attraverso la partecipazione di figure professionali e dello stesso general management aziendale, che condividono con il Dg il compito di come far diventare operative le decisioni”.
Ma un Dg “sottratto ai costi della politica e adeguatamente supportato nella sfida della complessità della nuova organizzazione sanitaria – dice Nicola Pinelli – richiede un passo avanti rispetto a quello pur positivo compiuto con la costituzione dell’Albo dei manager”. “La Regione -spiega- non può accontentarsi dell’Albo ma deve spostarsi sul terreno più operativo ponendo al primo posto la questione dell’uomo giusto al posto giusto, definendo profili professionali per tipologia azienda/mission nel rispetto della biodiversità del sistema e percorsi formativi relativamente adeguati”.
“Non è questa l’epoca di direttori generali ‘sceriffi’ o ‘tecnocrati’, che esercitano il proprio ruolo in modo autoritario o secondo una razionalità tecnica, priva della capacità di dialogo e di cooperazione con i diversi stakeholder interni e esterni all’azienda”, aggiunge Angelo Tanese.
“La riduzione degli spazi di autonomia vissuta dalle aziende ha portato spesso i direttori generali a sottolineare più il lato negativo che positivo di questo neo-centralismo regionale e nazionale, e a porre quindi più attenzione su ciò che le aziende sanitarie hanno perso rispetto a quello che il sistema nel suo complesso ha guadagnato, che è invece la possibilità di inserire le scelte aziendali all’interno di un quadro di coerenza programmatica e di condivisione di obiettivi più forte e più ampio. Non è infatti possibile, per aziende così grandi e complesse come le aziende sanitarie, pensare ad un management locale che agisca al di fuori di una visione complessiva, senza una forte integrazione con le altre aziende e enti del sistema sanitario regionale”.
“Per un’azienda sanitaria – spiega Tanese – operare su un territorio doppio o triplo rispetto alle precedenti aziende non significa fare le stesse cose per un bacino di utenza più ampio, ma riorganizzare l’intera rete di offerta per rispondere in modo più appropriato ai bisogni di salute”.
Per questo il Laboratorio Fiaso punta anche sulla cooperazione tra aziende.
Fermo restando che “le fusioni aziendali – secondo Del Vecchio e Romiti – non sono la sola risposta possibile al bisogno di razionalizzazione operativa e di efficienza economica dei sistemi regionali. Soluzioni alternative possono essere forme di collaborazione e coordinamento tra Aziende pur separate”. Una razionalizzazione delle reti di offerta “ spesso ostacolata dalle pressioni delle comunità locali e dei professionisti, oltre che da rigidità burocratiche”, ammettono. Che poi invitano alla “selezione di manager caratterizzati da profili cooperativi rispetto a quelli competitivi”, affermando che “i sistemi e le aziende possono e devono favorire i processi di collaborazione e coordinamento tra i professionisti: i primi attraverso un’ azione di sostegno alla formazione e al funzionamento delle reti cliniche, coinvolgendo anche le comunità professionali di riferimento; le seconde stimolando i professionisti alla collaborazione con i colleghi delle aziende vicine e alla partecipazione al funzionamento delle reti”.
Investire nel middle management
Quarta, ma non ultima per importanza, la proposta di investire nel middle management. Ruoli come quelli di capi dipartimento, direttori di distretto e presidio ospedaliero. Ma – come suggerisce Tanese – a seconda delle dimensioni aziendali anche quelli di direttore delle risorse umane, di farmacia, dell’ufficio tecnico o di acquisizione di beni e servizi, “che gestiscono budget di decine se non centinaia di milioni. Troppi per essere considerati poi figure tecniche preposte alla sola gestione, senza responsabilità nella direzione aziendale”.
E’ su queste figure che Fiaso sollecita a investire nei prossini anni, per garantire, da un lato, una crescita dei quadri esistenti e di quelli più giovani che entrano ora nel mondo della dirigenza vista l’accelerazione dei pensionamenti che il blocco del turn over ha imposto e, dall’altro, far crescere un vivaio di dirigenti dal quale attingere per le posizioni di top management nelle prossime edizioni dell’Albo dei Dg.
22 gennaio 2018 – Quotidiano sanità