Il limite della prestazione di lavoro pari a «otto ore in media nelle 24 ore» si applica esclusivamente ai lavoratori notturni. Ossia a chi svolge di notte almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale oppure svolga nel periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro. Se non c’è una disciplina collettiva, è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga per almeno tre ore di lavoro notturno per un minimo di 80 giorni lavorativi all’anno (riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale).
Così chi svolge solo alcune notti di lavoro, in maniera saltuaria e non regolare, ma per un numero di notti inferiore a quello previsto dal Ccnl o dalla legge (80 giorni all’anno) non può essere considerato lavoratore notturno con la conseguenza che allo stesso non si applicherà il limite massimo di legge (nota ministero del Lavoro 388 del 12 aprile 2005).
Il lavoro notturno è stato uno degli argomenti in tema di orario di lavoro su è stato diffuso il maggior numero di interpelli da parte del ministero negli ultimi 12 anni.
È stato anche precisato che la legge sul lavoro notturno ammette deroghe da parte dei contratti collettivi di ogni livello applicati nell’unità produttiva. Ma le deroghe devono rispettare la clausola di garanzia che prevede il riconoscimento ai prestatori di lavoro di periodi equivalenti di riposo compensativo o, in casi eccezionali, di altra protezione appropriata (nota n. 388 del 12 aprile 2005).
Sono stati chiariti anche i limiti al lavoro durante la notte.
In primo luogo, l’inidoneità al lavoro notturno può essere accertata solo attraverso le competenti strutture sanitarie pubbliche e i contratti collettivi possono prevedere esclusioni. È in ogni caso vietato adibire le donne al lavoro, dalle ore 24 alle ore 6, da quando ne viene accertato lo stato di gravidanza e fino al compimento di un anno di età del bambino (articolo 11, Dlgs 66/2003).
Può richiedere al datore di lavoro l’esenzione dal lavoro notturno:
- la lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre convivente con la stessa;
- la lavoratrice o il lavoratore che sia l’unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a 12 anni. Su questo punto il ministero spiega che, qualora il giudice abbia disposto che il minore conviva a periodi alterni con ciascuno dei genitori, questi ultimi potranno beneficiare di tale esenzione nel periodo in cui dimostrino al proprio datore di lavoro di convivere con il minore. La prova della convivenza può essere facilmente raggiunta esibendo copia del dispositivo della sentenza di affidamento congiunto al datore di lavoro il quale ne prende atto e modifica la propria organizzazione del lavoro notturno. Peraltro, tale onere probatorio sarà di facile assolvimento per il lavoratore, in quanto le sentenze in materia decretano le modalità, anche temporali, attraverso le quali può esplicarsi l’affidamento congiunto (interpello n. 29 dell’8 agosto 2008).
- la lavoratrice madre adottiva o affidataria di un minore, nei primi tre anni dall’ingresso del minore in famiglia, e comunque non oltre il dodicesimo anno di età o, in alternativa ed alle stesse condizioni, il lavoratore padre adottivo o affidatario convivente con la stessa;
- la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104. Al riguardo il ministero spiega che potranno richiedere l’esonero dalla prestazione dal lavoro notturno solo i lavoratori che risultino già godere dei benefici della legge 104/1992 o possedere i requisiti stabiliti per goderne.
Enzo De Fusco – Il Sole 24 Ore – 5 gennaio 2018