Chiusa la partita delle «funzioni centrali», con l’intesa del 23 dicembre che ora aspetta il via libera di ministero dell’Economia e della Corte dei conti, le trattative per i rinnovi contrattuali del pubblico impiego si spostano ora su scuola, sanità ed enti territoriali. Ma non sono previste sorprese, perché gli 85 euro di aumenti lordi previsti per ministeri e agenzie fiscali andranno tradotti in maniera proporzionali anche negli altri comparti.
A pagare però non sarà lo Stato, ma le singole amministrazioni. Un decreto di Palazzzo Chigi indicherà gli accantonamenti obbligatori, che si spalmeranno in modo lineare su tutte le amministrazioni. Un peso aggiuntivo che, inevitabilmente, toglierà fiato ulteriore agli enti in cui i conti sono già in affanno.
Proprio per questo i sindaci, e i governatori che oltre ai “loro” dipendenti devono gestire il rinnovo per la sanità, hanno premuto lungo tutto il corso parlamentare della manovra per spuntare un finanziamento aggiuntivo dedicato ai nuovi contratti. Ma senza successo.
I conti non sono complicati da fare. Un aumento di 85 euro lordi per 13 mensilità costa, compresi gli «oneri riflessi», 1.485 euro a dipendente. Negli enti locali, come mostra il censimento appena pubblicato dal Viminale, lavorano 397mila persone a tempo indeterminato senza qualifica dirigenziale. Il conto arriva così a 589 milioni, a cui vanno aggiunti almeno 50-60 milioni per i riflessi sui tempi determinati e i dirigenti. A differenza di quanto accade nello Stato, dove una parte degli aumenti ritorna in bilancio sotto forma di maggiore Irpef e contributi, negli enti locali costo lordo e netto praticamente coincidono.
Se gli amministratori si preoccupano, i dipendenti ovviamente aspettano gli effetti in busta paga, che nel caso degli statali potrebbero arrivare già a febbraio se l’esame all’Economia sarà rapido. Ieri l’Aran ha inviato la relazione tecnica, e la gestione degli stipendi tramite il sistema telematico NoiPa potrebbe accelerare i tempi.
Con il rinnovo arriveranno anche gli arretrati, che seguono lo stesso andamento lineare previsto per gli aumenti. I calcoli per ora girano intorno all’ipotesi di contratto a regime da marzo, e parlano di una tantum dai 370 euro per i livelli di inquadramento più bassi ai 712 euro per quelli più alti. Per lo statale medio (come anticipato sul Sole 24 Ore del 26 novembre) l’arretrato vale 577 euro lordi. Se invece il nuovo contratto debutterà dalle buste paga di gennaio, la cifra scende in media di 85 euro lordi. Tra una tantum, aumenti a regime e bonus «perequativo» per le fasce basse il reddito lordo degli statali aumenterà di poco meno di 1.300 euro per le fasce più basse, e quasi 2mila euro per quelle più alte. Per ridiscendere nel 2019 con l’addio a una tantum e bonus.
IL Sole 24 Ore – 30 dicembre 2017