Alessandro Barbera. L’ultimo rinnovo risale ad aprile di dieci anni fa. Premier era Romano Prodi, ministro del Tesoro il compianto Tommaso Padoa Schioppa. Allora come oggi il salario medio orario di un dipendente pubblico era doppio di quello di un lavoratore del settore privato. Ma affidarsi alle medie del pollo può essere fuorviante: basterebbe chiederlo a un insegnante della scuola, il cui stipendio è sensibilmente più basso di un collega francese o tedesco. Il contratto firmato ieri notte riguarda per ora i 250mila statali, ma si allargherà lentamente a più di tre milioni di persone, dai Comuni agli ospedali. L’aumento vale fra i 63 e i 117 euro al mese, 85 in media: tutto dipenderà da anzianità e settore di appartenenza. Alle casse dello Stato costerà 2,8 miliardi in tre anni, non pochi se confrontati con quanto messo a disposizione per altre voci nel 2018, meno dei 3,7 miliardi stanziati dieci anni fa. Inutile dire che l’imminente chiusura della legislatura ha dato una mano all’accordo, ma è pur vero che la trattativa andava avanti da un anno, complicata da un intervento della Corte costituzionale su alcune parti della riforma Madia: a febbraio sarà concessa l’una tantum per gli arretrati attorno ai 540 euro. C’è anche una precauzione per evitare a chi supererà il tetto di restituire il bonus 80 euro in vigore dall’anno scorso.
Il testo approvato è la quintessenza della contrattazione collettiva d’antan: 96 articoli, 129 pagine, contiene norme per regolare ogni cosa della vita di uno statale. Sulla carta – e si sottolinea sulla carta – le novità sono molte. I noti premi a pioggia, ad esempio. È notizia di ieri la decisione dei sindaco di Roma Raggi di concedere un aumento a 15mila dipendenti del Comune: le elezioni si avvicinano per tutti. Ebbene, il nuovo contratto prevedrebbe un «bonus eccellenza» individuale fino al 30 per cento superiore a quanto concesso agli altri. Provare per credere.
Laddove ci siano le risorse, le amministrazioni potranno concedere ulteriori vantaggi con il contratto di secondo livello, che si tratti di polizze sanitarie o convenzioni. I contratti a tempo determinato non potranno superare un quinto dei dipendenti e i quattro anni, anche se dopo il terzo la proroga può essere concessa in «casi eccezionali». È vietato ricevere regali di valore superiore ai 150 euro, così come è prevista la sospensione fino a sei mesi in caso di molestie a un collega o una collega. Il nuovo contratto promette più flessibilità: si potranno spacchettare i permessi per motivi familiari (oggi è possibile usufruirne solo per l’intera giornata fino a un massimo di tre), e si potranno cedere giorni di ferie a chi le ha terminate. Le coppie omosessuali avranno gli stessi diritti di quelle eterosessuali: le regole sui congedi varranno per gli sposati così come per le persone unite civilmente. Sulla carta – e sottolineiamo per l’ennesima volta sulla carta – non dovrebbero più ripetersi vicende come quelle che capitano troppo spesso a Roma: assenze sospette in coincidenza di ponti, week-end o in momenti particolarmente delicati. Dopo il terzo episodio non giustificato l’amministrazione potrà licenziare. Qualche lettore ricorderà la vicenda dei 767 vigili capitolini caduti malati tutti insieme la notte di capodanno del 2015: l’allora sindaco Marino scelse la linea dura, peccato che il giudice del lavoro diede torto al Comune e lo condannò al pagamento delle spese processuali. Non c’era la prova delle 767 coincidenze, disse.
La Stampa – 24 dicembre 2017