di Francesco Verbaro. Nelle sue intenzioni ufficiali, la riforma della Pa dovrebbe invertire i processi di reclutamento, in base al principio sacrosanto per cui prima si misurano i bisogni dell’organizzazione e poi si assume. Con le stabilizzazioni, però, arriva subito la prima eccezione, perché la corsa al posto fisso può partire prima della rilevazione dei fabbisogni. E anche nel rinnovo dei contratti la fretta rischia di accantonare gli obiettivi della legge Madia.
Dopo l’accordo del 30 novembre 2016 e il varo delle nuove regole sul pubblico impiego con il decreto legislativo 75/2017, che accoglie numerose richieste dei sindacati, l’ora del rinnovo del contratto nazionale dopo anni di blocco sembra vicino. Il Governo ha inserito le ultime risorse mancanti nella legge di bilancio e, quindi, molto probabilmente prima delle prossime elezioni, si arriverà alla firma.
Il rischio nel settore pubblico, ancora una volta, è quello di rinnovare i contratti collettivi colmando il ritardo dal punto di vista economico, ma senza preoccuparsi delle esigenze di una migliore e più efficace regolazione di molti istituti rientranti nella competenza della contrattazione. Il contratto collettivo non si rinnova solo per dare più soldi o recuperare l’inflazione, ma per regolamentare istituti importanti del rapporto di lavoro, dai quali dipende il buon funzionamento delle pubbliche amministrazioni.
Dopo che la contrattazione collettiva ha riconquistato maggior potere come fonte normativa, grazie al Dlgs 75/2017, ora non può non affrontare una serie di temi di sua competenza sul piano nazionale. Anni di blocco hanno creato vuoti normativi importanti. E nella Pa, diversamente dal privato, solo il contratto collettivo nazionale, e non il contratto integrativo o di secondo livello, può disciplinare le materie delegate dalla legge . Se si perde l’occasione di regolare certe materie nel contratto collettivo nazionale, non si può recuperare con il contratto di secondo livello ma solo attraverso norme.
Come spesso accade, fattori politici congiunturali, purtroppo, portano quasi sempre a sconfessare ciò che si scrive in termini di sistema. È successo con la programmazione triennale dei fabbisogni, correttamente enfatizzata con il Dlgs 75/2017, per poi essere accantonata e sacrificata sull’altare delle stabilizzazioni, prioritarie sempre e comunque come ricorda la recente circolare 3/2017 del ministro per la pubblica amministrazione.
La rappresentanza pubblica, pur sotto il ciclo elettorale, dovrebbe essere in grado di rappresentare e soddisfare i bisogni di funzionamento delle amministrazioni partendo dagli spunti contenuti nell’atto di indirizzo del ministro Madia e negli atti dei comitati di settore. Se il modello ministeriale non ha particolari esigenze di funzionalità, essendosi trasformato nel tempo in una grande struttura di staff servente il policy maker, a livello di regioni, sanità, enti locali le esigenze di regolamentazione per una migliore gestione delle risorse umane sono molte ed essenziali.
Avendo numerosi uffici del personale non adeguati e strutturati, soprattutto dopo anni di blocco delle assunzioni, è ancora più importante avere un quadro normativo semplice, chiaro ed esaustivo sulla disciplina del personale. Molte amministrazioni sono ormai incapaci di gestire il personale per la mole di norme da ricordare e interpretare.
Il prossimo rinnovo contrattuale dovrebbe dare alcune risposte urgenti alla domanda di certezza e chiarezza normativa. Sarebbe utile, ad esempio, distinguere chiaramente tra le materie oggetto di contrattazione e le materie oggetto di informativa o consultazione, dando contenuti e tempi certi alle forme di partecipazione sindacale e salvaguardando il potere datoriale. Semplificare la determinazione dei fondi dell’accessorio, e la componente variabile connessa alla performance, per ridurre tutte quelle incertezze che hanno portato ad avere migliaia di denunce nei confronti degli amministratori di fronte alla Corte dei conti. Quindi, semplificare e rendere flessibili gli inquadramenti e i trattamenti economici nella fase di reclutamento. Definire i limiti e gli ambiti per i distacchi e trasferimenti del personale. Disciplinare le deroghe e i rinvii operati dal Jobs Act (Dlgs 81/2015) alla contrattazione collettiva, in materia di contratti di lavoro flessibili. Importanti oggi e ancor di più in caso di riduzione della durata del contratto a termine, come sembra paventare il Governo, da 36 a 24 mesi. Disciplinare inoltre lo smart working e altri istituti di utilizzo flessibile del lavoro.
Rinnovare i contratti collettivi senza chiarire e regolamentare alcuni istituti, e quindi senza migliorare la gestione delle risorse umane, sarebbe un errore del datore di lavoro pubblico ed un’ulteriore sconfessione della riforma Madia, che ha voluto ridare fiducia alla contrattazione collettiva
Il Sole 24 Ore – 11 dicembre 2017