Non è bastata la pioggia di decreti sblocca-debiti, conditi da una trentina di miliardi di prestiti a Regioni ed enti locali in gran parte da restituire in 30 anni. E non sono bastati i monitoraggi più o meno in tempo reale delle fatture della Pa, con cui i governi hanno provato a convincere la commissione europea a non deferire l’Italia davanti alla Corte Ue per i pagamenti lumaca che schiacciano i fornitori degli enti pubblici.
La Commissione europea ha invece annunciato ieri di aver rinviato il governo italiano davanti alla Corte di Giustizia per violazione della direttiva che stabilisce il termine di 30 giorni (elevati a 60 in casi eccezionali) per il pagamento di beni e servizi da parte della mano pubblica. «A più di tre anni dall’avvio della procedura di infrazione – nota l’esecutivo comunitario – le amministrazioni italiane necessitano ancora in media di 100 giorni per saldare le fatture, con picchi che possono essere nettamente superiori». L’esecutivo comunitario ha preso atto degli sforzi della Pa nel pagare le fatture, che però non sono bastati. Sforzi rivendicati ieri dallo stesso governo: fonti dell’Economia sottolineano i «progressi considerevoli e tangibili» ottenuti dall’Italia su un terreno in cui i tempi biblici di pagamento registrati a inizio decennio hanno reso impossibile allinearsi all’Europa in pochi anni. A sostegno di questa tesi l’Economia ricorda i dati del censimento ministeriale sui debiti commerciali (13 giorni di ritardo medio ponderato nel 2016, la metà rispetto all’anno prima) e quelli di Bankitalia, che per lo scorso anno stima debiti commerciali pari al 3,8% del Pil invece del 5,8% del 2012. In un contesto come questo, giudica il Mef, il deferimento è «ingiustificato e penalizzante». L’esito è invece «inevitabile» secondo il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, perché «l’Italia ha fatto di tutto per non rispettare le regole».
Il quadro è complesso, ma riassunto dai numeri, che mostrano come i ritardi continuino anche ai vertici dell’amministrazione. Tra luglio e settembre, lo stesso ministero dell’Economia, titolare della vigilanza sulla macchina dei pagamenti, ha sforato in media di 6 giorni i termini di legge. Ma i dati peggiori arrivano dai 60 giorni abbondanti di attesa aggiuntiva imposti dal ministero dell’Ambiente e a quello delle Infrastrutture, mentre chi vende beni e servizi alla Difesa deve aspettare 52 giorni oltre alla scadenza. Tra i pochi “virtuosi” del governo, accanto al primato dell’Istruzione (11 giorni di anticipo sui termini) si segnala Palazzo Chigi, che fra luglio e settembre ha portato le fatture al traguardo una settimana prima della scadenza. Ma le performance sono oscillanti: tra aprile e giugno, per esempio, anche la presidenza del Consiglio era fra i ritardatari (13 giorni). Anche la geografia ha un ruolo chiave. Quando ci si sposta sul territorio i dati peggiorano, e mostrano casi di crisi conclamata: al Comune di Napoli i fornitori aspettano in media 335 giorni di troppo, a Vibo Valentia il ritardo è di 120 giorni e a Roma di 57, mentre a Milano di 11.
I tempi lunghi hanno scandito anche il confronto fra Roma e Bruxelles. La direttiva era stata presentata nel 2011, e recepita nel 2013. Le imprese sono tenute a saldare le fatture entro 60 giorni, a meno che non sia stato concordato altrimenti e purché ciò non sia iniquo. Ogni ritardo dà il diritto agli interessi e a un minimo di 40 euro come risarcimento delle spese di recupero. Nel 2014, Bruxelles aveva inviato una lettera di messa in mora e nel febbraio scorso un parere motivato, che ha portato ieri al deferimento. Ma il problema va oltre i confini della Pa: un recente rapporto della società svedese Intrum Justitia osserva che il ritardo dei pagamenti riguarda anche le imprese private. In un sondaggio, il 40% delle aziende ammette di pagare in ritardo i propri fornitori
È da ricordare che nel 2013, il governo italiano e la Commissione europea avevano trovato un accordo sul pagamento di molte fatture arretrate, in concomitanza con l’uscita del Paese dalla procedura per deficit eccessivo. «La puntualità dei pagamenti è particolarmente importante per le Pmi, che confidano in un flusso di cassa positivo per assicurare la propria gestione finanziaria, la propria competitività e, in molti casi, la propria sopravvivenza», spiega ancora la Commissione. Tema cruciale in particolare nell’Italia dello split payment, che trattiene alla fonte l’Iva dando un colpo ulteriore alla liquidità di chi attende il pagamento.
La moltiplicazione dei dati rappresenta la seconda gamba della strategia tentata dall’Italia per ribattere alle obiezioni di Bruxelles. Gli enti pubblici devono pubblicare ogni tre mesi l’indicatore con i propri tempi di pagamento, e dal 1° luglio ha cominciato a funzionare il nuovo sistema («Siope +») che segue in tempo reale la vita di ogni fattura. Oggi abbraccia solo 30 enti sperimentatori, ma da gennaio metterà sotto esame Regioni, Province e Città metropolitane per estendersi a tappe in tutte le Pa da ottobre.
Il Sole 24 Ore – 10 dicembre 2017