Più spine arrivano per chi può aspettare perché non è grave. E infatti per la priorità differibile i tempi talvolta superano i limiti di 30 e 60 giorni.
A dare una mano alle amministrazioni locali c’è anche un fenomeno sempre più consolidato: gli italiani consumano meno sanità. Basta vedere i dati sugli incassi dal ticket di Agenas, l’agenzia sanitaria delle Regioni, per avere chiaro di come ogni anno, dal 2012 in poi, quello per visite ed esami scenda di oltre il 3%. Il calo della domanda permette ovviamente di rispondere prima alle strutture sanitarie, soprattutto dà, o darebbe in certe realtà non ancora a posto, il modo di programmare meglio l’offerta. Il minor lavoro delle strutture pubbliche potrebbe essere dovuto al fatto che le persone si rivolgono al privato, dove ormai certe prestazioni costano quanto il ticket ma vengono fornite prima. A non rendere del tutto accettabile questa lettura c’è il dato sulla libera professione intramoenia. Anche gli introiti di questa attività privata dei medici del servizio pubblico stanno scendendo in questi anni, più o meno con percentuali identiche a quelle del ticket. «Credo che il calo della domanda sia dovuto anche ai medici, che prescrivono meno accertamenti non appropriati – spiega Sergio Venturi, assessore alla Salute dell’Emilia-Romagna – Il cosiddetto “decreto appropriatezza”, scritto e presentato ma poi non applicato, ha comunque avuto l’effetto di sensibilizzare i professionisti».
L’Emilia è tra le Regioni che vanno meglio in fatto di liste di attesa, anche perché da due anni fa politiche per contenere i tempi di risposta. La sua organizzazione è stata presa ad esempio dal Lazio per scrivere di recente la sua riforma. «Come si tengono basse le attese? Controllando il sistema dice Venturi – Noi facciamo un monitoraggio mensile e poi basiamo gli incentivi ai direttori generali delle aziende sanitarie e ospedaliere sulla tenuta delle liste». Questo vale soprattutto per chi ha un sistema sanitario già sano. «Chi parte da una situazione peggiore dovrebbe sospendere la libera professione dei medici dei reparti che hanno tempi lunghi di risposta. Di solito funziona, noi a suo tempo lo abbiamo fatto, anche se poi non abbiamo avuto bisogno di applicare il provvedimento. E poi quando abbiamo nominato i direttori gli abbiamo dato 18 mesi per risolvere il problema delle attese. Altrimenti li avremmo mandati via». Il pugno duro certe volte funziona.
La cosa peggiore se la sentono dire molti cittadini di Roma, quando finalmente riescono a prendere la linea del centro prenotazioni: «Mi spiace, non ci sono disponibilità».
Con la lista d’attesa che nemmeno esiste, è un attimo attaccare il telefono e fare il numero di un centro privato per chiedere la visita o l’esame a pagamento.
L’agenda chiusa è utilizzata per non dire a chi chiama quanti mesi ci vorrebbero per ottenere un appuntamento. Un modo per far “scomparire” le attese. «Provi a ritelefonare più avanti, magari si libera un posto visto che sotto Natale arrivano molte disdette», è la proposta dell’operatore. E così ci sono persone che ci riprovano, ogni due o tre giorni rifanno il numero per vedere se riescono a finalmente a fissare l’ecografia o la visita ortopedica in tempi decenti. Quando invece le liste sono aperte, negli ospedali romani le attese sono generalmente molto più lunghe dei limiti massimi indicati dai provvedimenti ministeriali e regionali. E ancora una volta i privati ringraziano.
Nel marzo dell’anno scorso abbiamo controllato lo stato delle liste d’attesa in tre strutture sanitarie, ospedali o Asl, di 9 città italiane. Alla fine di novembre abbiamo fatto una nuova verifica.
Com’è la situazione? In certe zone è sicuramente migliorata, sono i dati a dirlo, ma restano problemi e non solo nella capitale, che vive la condizione peggiore anche se la Regione Lazio, appena uscita dal commissariamento, ha presentato mesi fa un piano per abbattere le liste. Ci vorrà ancora tempo per vedere gli eventuali effetti positivi della riforma. Per una visita oculistica a Milano c’è da faticare, con due grandi ospedali che hanno un’attesa di oltre un anno. Palermo soffre sulle risonanze magnetiche alla colonna vertebrale, ma comunque a Villa Sofia si riescono a fare rapidamente. Bologna, ma solo in un ospedale, ha tempi lunghi per la visita ortopedica e Bari ha grossissimi problemi sulle mammografie, con attese tra sei mesi e un anno. Le risonanze alla colonna, invece, hanno tempi buoni solo nelle strutture della Asl del capoluogo pugliese. Ma se si confrontano i dati di adesso con quelli dell’anno scorso, si vede che le cose vanno quasi ovunque meglio o molto meglio. Se in una città almeno una struttura offre una certa prestazione sanitaria in tempi accettabili è già positivo, visto che comunque una risposta rapida è assicurata al cittadino.
Chi però vuole andare in un centro specifico, perché magari è noto per la sua qualità, potrebbe avere problemi.
Nel piano nazionale sulle liste di attesa del ministero alla Salute, che proprio in questo periodo viene rivisto, si prevedono quattro codici di priorità che il medico deve inserire nella ricetta: urgente (per visite ed esami da assicurare entro 72 ore), breve (entro 10 giorni), differibile (entro 30 giorni per le visite e 60 per gli esami) e programmato (per tempi più lunghi). Abbiamo preso in considerazione le prestazioni urgenti e quelle differibili. Per le prime non pubblichiamo i dati perché praticamente tutti rispettano i termini. Di solito quando c’è un problema che richiede una risposta rapida un posto si trova. Le Regioni fanno prenotare in modi diversi quando si tratta di questa priorità. Ci sono casi nei quali è previsto l’accesso diretto del paziente in ospedale, altri nei quali il medico di famiglia ha un numero di telefono dedicato e fissa lui stesso l’appuntamento, con il paziente davanti. Altre volte invece si chiede allo stesso cittadino di telefonare e dire di avere la ricetta per l’urgenza. Con oltre 72 ore di attesa risultano alcune prestazioni urgenti a Bari (come la visita ortopedica, la risonanza e l’ecografia all’addome al San Paolo) e la mammografia al Cardarelli di Napoli. Per il resto i pazienti sono visti velocemente, in certi casi anche il giorno dopo la richiesta. Probabilmente questo è un primo risultato del lavoro che le Regioni e il ministero hanno fatto in questi anni sulle liste di attesa.
Michele Bocci – Repubblica – 4 dicembre 2017