I nostri figli e nipoti lo ricorderanno come il più grande tsunami demografico che si sia mai abbattuto sulla società italiana. E a causa sua saranno costretti a rimetter mano per l’ennesima volta alla riforma previdenziale: lo dice lo stesso Inps. Tre onde anomale resteranno in particolare impresse nella loro memoria. La prima arriva nel 2032: è l’anno in cui vanno in pensione tutti in una volta un milione e 35 mila baby boomers, un picco assoluto. Sono i neonati del 1964. Quell’anno, che già vede esaurirsi la forza propulsiva del miracolo economico, e che ricordiamo per il completamento dell’Autostrada del Sole, per i jukebox nei bar e per il colpo di Stato tentato dal generale De Lorenzo, segna un record di culle che non si ripeterà mai più nella storia d’Italia. Da allora le nascite cominceranno a rallentare fino alle 473 mila di quest’anno. Ma il crollo, dice l’Istat, continuerà ancora, finché nel 2032, mentre quel milione di sessantottenni lasceranno il lavoro, nei reparti di maternità ci saranno non più di 450 mila neonati.
Secondo choc demografico: 2044. È l’anno in cui ci si accorge che il rapporto tra giovani e anziani si sta progressivamente ribaltando. Gli italiani si contano e scoprono di avere molte più rughe e capelli bianchi: tra di loro ci sono quasi 8 milioni di under 54 in meno rispetto a vent’anni prima, e 6 milioni in più di over 65, ormai un terzo di tutta la popolazione. Il motivo è che stanno invecchiando le gigantesche classi dei baby boomers (quelle nate tra la metà degli anni 50 e dei ’70), e questo fatto spezza tutti gli equilibri. A cominciare da quello pensionistico. La spesa previdenziale raggiunge un picco imprevisto, il 16,3% del Pil, ma l’Eurostat la prevede ancora più alta: 18,3%. Il problema è che a rimpolpare la popolazione attiva, a sostenere con i loro contributi il sistema pensionistico italiano, non contribuiscono più come prima gli immigrati, fin qui una sorta di ciambella di salvataggio dei nostri conti pubblici e demografici. Nelle sue ultime proiezioni la Ragioneria generale dello Stato prende tutti di sorpresa. Le stime di qualche tempo fa sono ormai superate: proprio intorno al 2044 il flusso di immigrati si riduce dai 233 mila annui inizialmente attesi a 155 mila. Un saldo pur sempre positivo, ma fortemente ridimensionato. Senza mezzi termini, si ipotizza che gli immigrati preferiscano, come comincia a succedere già oggi, i Paesi del Nord Europa al nostro. In Italia resteranno i lavoratori meno qualificati, spesso i più disperati. Il risultato è che alla fine, nonostante l’aumento dei requisiti di età pensionabile al crescere della speranza di vita, e nonostante comincino a uscire dal lavoro persone con la pensione calcolata tutta con il sistema contributivo, intorno al 2044 la spesa pensionistica schizzerà più in alto del previsto.
Terza e ultima onda anomala: 2065. È l’anno in cui il numero dei decessi doppia quello delle nascite: 850 mila contro 422 mila. L’invecchiamento e la denatalità nel nostro Paese arrivano a tal punto che la popolazione, prevista inizialmente in leggera crescita, vede sparire rispetto ad oggi 7,1 milioni di persone e si avvia malinconicamente verso quota 50, dai 60 milioni attuali. Per la verità, senza il contributo degli immigrati (che pur ridimensionato pesa ancora molto) i residenti calerebbero addirittura del doppio. E siccome l’immigrazione è prevista concentrarsi quasi esclusivamente nel Centro-Nord, alla fine è il Mezzogiorno a spopolarsi si più e in modo drammatico: 5,2 milioni di persone in meno. L’età media nazionale raggiunge il massimo: 50 anni. Le donne toccano per la prima volta i 90 anni di speranza di vita. Ma il 2065 è anche l’anno in cui la spesa pensionistica, dopo il picco di vent’anni prima, torna a ridursi in rapporto al Pil. Come mai? Il motivo va sempre ricercato in quello che succede alla foltissima schiera dei baby boomers, il vero asse portante del nostro sistema demografico e previdenziale. Dopo essere andati in pensione tra il 2020 e il 2040 pesando inevitabilmente sui conti previdenziali, adesso i figli del miracolo economico passano semplicemente a miglior vita, per via dell’età. La Ragioneria usa una terminologia un tantino tranchant per comunicarcelo: l’inversione di tendenza della spesa pensionistica – scrive nel suo ultimo rapporto – «si spiega con la progressiva eliminazione delle generazioni del baby boom». Le nascite continuano a battere la fiacca, ma almeno i contributi dei nostri figli e nipoti non dovranno più pagare la pensione a quella sterminata massa di vecchietti.
Tutto risolto, dunque, con la loro “eliminazione”? Non proprio. Quelle ondate demografiche lasceranno più di un segno al loro traumatico passaggio. Lo lasciano soprattutto sui conti pubblici, creando uno squilibrio sempre maggiore tra i contributi via via versati dai lavoratori (ridotti dalla denatalità e dalla bassa occupazione) e le pensioni da coprire con quei contributi (gonfiate dalla crescente longevità degli anziani). L’effetto finale è un maggior debito pubblico di oltre 30 punti percentuali, dice la Ragioneria, circa 51 miliardi di euro di qui al 2070. Ma l’Eurostat parla addirittura di 117 punti in più. Ovviamente, questo non è un problema che imponga una immediata soluzione: i prossimi dieci- quindici anni saranno ancora finanziariamente coperti dalle riforme messe in campo, ma successivamente non basterà più l’aumento previsto dei requisiti di età, non sarà sufficiente l’effetto calmierante del sistema contributivo. «Ragionando nel lungo periodo, di qui al 2070 – conferma il presidente dell’Inps, Tito Boeri – se non ci saranno nel frattempo più immigrati regolari e/o più nascite, sarà necessario fare un’altra riforma pensionistica, perché la demografia vanificherà quelle già fatte. C’è tutto il tempo per rimediare, ovviamente, ma non illudiamoci di avere risolto il problema». Se così stanno le cose, pensiamo a cosa potrebbe succedere nei prossimi decenni se si interrompesse di colpo l’adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita, come vorrebbero oggi alcune forze politiche, spinte evidentemente da una pressante motivazione elettorale. L’Inps ha stimato questo eventuale costo aggiuntivo in 140 miliardi, che si sommerebbero ai 51 che si dovranno comunque trovare in assenza di nuovi immigrati o di una ripresa della natalità. Siamo disposti a lasciare in sospeso questo debito enorme sopra la testa dei nostri figli e nipoti?
Repubblica – 13 novembre 2017