Un’estensione, anche se non troppo marcata, della platea delle 15 categorie di lavori gravosi da esentare dall’adeguamento a 67 anni nel 2019 dell’età pensionabile all’aspettativa di vita. È quella che presenterà domani pomeriggio il Governo ai segretari di Cgil, Cisl e Uil nell’incontro decisivo sui correttivi previdenziali da inserire nel disegno di legge di Bilancio all’esame del Senato, che in mattinata sarà preceduto da un ultimo incontro tecnico. Del pacchetto di ritocchi farà parte anche la detassazione della previdenza integrativa per gli statali, che era stata già annunciata al tavolo sulla “fase 2” della previdenza ma che non era poi entrata nel testo finale della manovra.
Per dare al bacino degli esentati dall’aumento automatico della soglia di pensionamento una fisionomia a maglie più larghe gli esperti di Palazzo Chigi e dei ministeri dell’Economia e del Lavoro stanno affinando alcuni ritocchi alla proposta presentata all’inizio della settimana agendo esclusivamente su due fronti: la continuità del requisito soggettivo di lavoratore gravoso e il numero di anni contributivi. Nel primo caso l’opzione finale dovrebbe essere quella di aver svolto la mansione faticosa per sette anni sugli ultimi dieci d’impiego e non più per almeno sei anni sugli ultimi sette (sulla falsariga di quanto previsto per i lavori usuranti) come invece era stato ipotizzato nei precedenti incontri tecnici.
Per quanto riguarda invece i contributi maturati l’asticella non dovrebbe più essere posizionata a quota 36 anni, come era stato indicato dal Governo nei giorni scorsi, ma dovrebbe scendere di qualche anno (probabilmente attorno a quota 30 anni).
L’allentamento di questi due paletti dovrebbe provocare un leggero ampliamento della platea degli “esentati” che all’inizio della scorsa settimana era stata ufficiosamente stimata in 15-17mila lavoratori. Ma la Cgil considera «infondate» queste previsioni sottolineando che le pensioni di vecchiaia dei lavoratori dipendenti liquidate nel 2016 nel complesso sono meno di 60mila (compresi gli assegni di vecchiaia ai dipendenti pubblici) e quindi è assai improbabile che le categorie considerate coprano circa un terzo di questi assegni. Susanna Camusso ha definito ieri la proposta fin qui presentata dal Governo «del tutto insufficiente a delineare la scelta necessaria di ridare una prospettiva al sistema previdenziale».
Del pacchetto di possibili correttivi che sarà portato al tavolo dal Governo farà parte, come già annunciato, anche la revisione dal 2021 su base biennale (in media) del meccanismo di adeguamento dell’età alla speranza di vita. Sul versante delle deroghe allo stop dell’aumento dell’età pensionabile sarà confermata l’istituzione di una Commissione tecnica per studiare la possibilità di realizzare nuove stime sull’aspettativa di vita legate alle mansioni svolte. Ne faranno parte Inps, Inail, Istat e i ministeri del Lavoro, dell’Economia e della Salute.
A completare il quadro delle misure aggiuntive che il Governo si appresterebbe a garantire c’è anche l’allineamento della fiscalità su rendite o capitale dei fondi integrativi oggi riconosciuta ai lavoratori privati anche per quelli del settore pubblico. Questi importi, che scattano con la pensione, e che oggi per i pubblici sono tassati in Irpef, passeranno all’imposta sostitutiva del 15% che si riduce dello 0,3% per ogni anno di iscrizione a una forma pensionistica complementare successiva al 15esimo anno, con uno sconto massimo del 6%. Se per esempio uno statale si iscrive a un fondo e resta iscritto per 35 anni avrà un prelievo sulle future rendite del 9% invece del 15%.
La misura varrà però solo per i neo assunti, per i quali sarà previsto anche un periodo di silenzio assenso per l’adesione a un fondo con il Tfr maturando, mentre i sindacati chiedevano l’allineamento almeno a partire dal 2001, quando anche nel pubblico impiego è scattato il regime Tfr al posto del precedente trattamento di fine servizio. Si tratta di un adeguamento coerente con la scelta di rendere strutturale, con questa manovra ora all’esame del Parlamento, la rendita integrativa temporanea anticipata (Rita).
Sul terreno della previdenza complementare era attesa anche una norma Covip, per far scattare il finanziamento degli oneri di vigilanza sugli investimenti delle casse privatizzate, che svolge da ormai cinque anni contando solo sui versamenti dei fondi pensione. L’idea era di far pagare alle casse la stessa quota pagata oggi dai fondi, ovvero lo 0,5 per mille dei flussi contributivi annui. Si vedrà se sarà recuperata con altri emendamenti parlamentari. I ritocchi del Governo dovrebbero saldarsi con una parte di quelli già presentati al Ddl di Bilancio in Commissione al Senato dal Pd. A partire dal prolungamento (e l’ampliamento) dell’Ape social a tutto il 2019.
Il Sole 24 Ore – 12 novembre 2017