La bontà di una riforma si misura dalla sua attuazione. Niente di più vero per il riassetto della pubblica amministrazione. La legge Madia (124 del 2015) si sta, infatti, misurando con più di venti decreti attuativi, di cui si inizia a monitorare l’impatto per capire come funzionano e dove, eventualmente, intervenire per modificarli. Fondamentale è che la struttura rimanga e che i Governi futuri non buttino tutto a mare e ricomincino da capo.
È la raccomandazione che ha percorso tutti gli interventi del convegno sul bilancio della riforma Madia tenutosi ieri alla Luiss e coordinato da Bernardo Mattarella, professore di diritto amministrativo che quando si è costruito il nuovo assetto della Pa era capo dell’ufficio legislativo del ministero della Pubblica amministrazione.
Dunque, monitorare per valutare se e dove cambiare. Lo ha affermato Paola Severino, rettore della Luiss, nei saluti di apertura, lo ha ribadito la ministra Marianna Madia, che ha sottolineato l’ampiezza e l’eterogeneità della nuova normativa, legata, però, da un filo conduttore: «Non introdurre nuovi istituti giuridici e non stravolgere quelli esistenti, ma capire quale manutenzione profonda fosse necessaria».
La riforma si compone – ha spiegato la Madia – di due blocchi: uno riguarda le modifiche in materia di lavoro pubblico, l’altro contiene tutte le altre novità (semplificazioni, digitalizzazione, trasparenza, partecipate). Il primo blocco si sta ora traducendo nel rinnovo dei contratti , «che non discende direttamente dalla riforma, ma è stato ispirato dallo spirito di quest’ultima». L’altro blocco è «il più complicato da attuare e per farlo ci stiamo muovendo – ha aggiunto la ministra – su tre direttrici: investire tutte le risorse europee dedicate al rafforzamento della capacità amministrativa in formazione e assistenza tecnica alle Pa; monitorare a campione l’applicazione delle novità; avere un costante rapporto con le amministrazioni e con i beneficiari della legge».
Fra i beneficiari ci sono le imprese, che ieri hanno fornito un immediato riscontro al lavoro in corso. Per Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, «il valore della riforma Madia sta proprio nella capacità del confronto e nel pragmatismo», nell’essersi messa nell’ottica di «fare le cose nell’interesse del Paese. Bisogna evitare che chi arriva la smonti». Semplificazioni, digitalizzazione, sburocratizzazione: per Boccia sono questi i versanti toccati dalla riforma capaci di infondere competitività all’Italia, di mettere al centro il fattore tempo «rispetto al quale come Paese non abbiamo mai avuto sensibilità» e che invece è fondamentale quando si aspetta una sentenza o l’amministrazione deve concludere un procedimento.
Anche per il presidente di Confindustria è decisiva la valutazione dell’impatto e il monitoraggio della riforma, concetto su cui si è soffermata pure Anna Finocchiaro, ministra per i Rapporti con il Parlamento, la quale ha inoltre sottolineato il ruolo della legge delega («si è superata quella sorta di pregiudizio nei confronti di questo strumento»), che esalta il ruolo di co-legislazione tra Governo e Parlamento grazie ai decreti attuativi e ai relativi pareri che le Camere sono chiamate a dare.
Così come lo deve fare il Consiglio di Stato. «Abbiamo approfittato della riforma Madia – ha affermato Alessandro Pajno, presidente di Palazzo Spada – per autoriformarci. Per i pareri sono state istituite commissioni speciali che hanno lavorato nel segno della tempestività della valutazione dell’impatto, dell’ascolto degli interessati, della fattibilità delle nuove norme, del loro monitoraggio. Perché il vero inizio di una riforma è quando viene varata la legge».
Antonello Cherchi – Il Sole 24 Ore – 10 novembre 20167