Non sono i semafori alimentari inglesi ma ci somigliano. Dopo il via libera di Bruxelles, la Francia adotta ufficialmente il sistema di etichettatura nutrizionale denominato Nutri-Score. E, come nel Regno Unito, scivolano nelle categorie di retroguardia alcune eccellenze italiane: Parmigiano reggiano, Grana padano, prosciutto, salame, olio stima Coldiretti. «Sicuramente quasi tutti i formaggi, compreso il Parmigiano – osserva Riccardo Deserti, dg del Consorzio del Parmigiano reggiano – scivolano nella categoria arancione, la quarta delle cinque ammissibili. Nella categorie verdi, entrerà qualche formaggio industriale degrassato. Dovremo però attendere le norme applicative del decreto».
Secondo i dati dell’Alto consiglio francese della salute, nelle ultime tre categorie del Nutri-score (dal colore giallo al rosso) è concentrato il 92% dei cereali per la prima colazione, il 70% del pane croccante, il 56% dei lattiero-caseari e il 48% dei prodotti freschi da ristorazione.
I ministri della Salute, dell’Agricoltura e dell’Economia hanno firmato il decreto che istituisce una metodologia di etichettatura nutrizionale con 5 colori, dal verde intenso al rosso, assegnati agli alimenti in funzione sia del loro contenuto di nutrienti positivi(fibre, proteine, frutta, verdura) sia del loro apporto di nutrienti che favoriscono l’obesità (zucchero, sale, acidi grassi saturi). Hanno subito aderito catene commerciali e produttori come Auchan, Leclerc, Intermarché, Fleury Michon, Danone e Mc Cain.
L’etichetta nutrizionale (che rimane libera) è motivata dalla piaga dell’obesità e dall’insorgenza di gravi patologie. I ministri hanno spiegato che il regolamento europeo 1169/2011 sulle dichiarazione nutrizionale in etichetta rimaneva complessa, quindi si è predisposto un sistema semplice e comprensibile, il Nutri-score.
I francesi sono grandi produttori e consumatori di formaggi, latte e carni. A proposito è nota la frase di Charles de Gaulle: “Come si può governare un paese che ha 246 varietà differenti di formaggio?”. Dunque un boomerang per i produttori? «Ci saranno effetti negativi per alcune categorie – risponde Deserti – ma positivi per altre, come la filiera di frutta e legumi». Alcune categorie di produttori agricoli francesi hanno accusato i ministri di atteggiamenti “talebani” mentre gli industriali (condizionati dagli orientamenti delle multinazionali che hanno proposto un’altra etichetta nutrizionale a Bruxelles) hanno scelto una posizione più defilata.
Dura la reazione dal fronte italiano. La Francia è il terzo mercato per il nostro export alimentare: nel primo semestre del 2017 è aumentato del 7,6% a 1,76 miliardi. Per il presidente di Federalimentare Luigi Scordamaglia il Nutri-score «è una scelta fuorviante per il consumatore: bocciare o promuovere un cibo sulla base della presenza di un singolo ingrediente confonde il cittadino e rischia di essere dannoso per la salute. La Commissione europea deve adottare una politica comune in materia di etichettatura.
Per Giuseppe Ambrosi, presidente di Assolatte “il Nutri-Score spingerà i consumatori ad acquistare solo i prodotti delle due categorie verdi. Ma è un approccio semplicistico e non aiuta a comprendere il contributo, in termini di nutrienti, che ogni alimento apporta alla dieta. A partire dai formaggi della grande tradizione italiana». Per Deserti «la vicenda francese va seguita, perchè può essere l’apripista per la taratura di provvedimenti analoghi negli altri Paesi Ue».
Secondo i dati dell’Alto consiglio francese della salute, nelle ultime tre categorie del Nutri-score (dal colore giallo al rosso) è concentrato il 92% dei cereali per la prima colazione, il 70% del pane croccante, il 56% dei lattiero-caseari e il 48% dei prodotti freschi da ristorazione.
I ministri della Salute, dell’Agricoltura e dell’Economia hanno firmato il decreto che istituisce una metodologia di etichettatura nutrizionale con 5 colori, dal verde intenso al rosso, assegnati agli alimenti in funzione sia del loro contenuto di nutrienti positivi(fibre, proteine, frutta, verdura) sia del loro apporto di nutrienti che favoriscono l’obesità (zucchero, sale, acidi grassi saturi). Hanno subito aderito catene commerciali e produttori come Auchan, Leclerc, Intermarché, Fleury Michon, Danone e Mc Cain.
L’etichetta nutrizionale (che rimane libera) è motivata dalla piaga dell’obesità e dall’insorgenza di gravi patologie. I ministri hanno spiegato che il regolamento europeo 1169/2011 sulle dichiarazione nutrizionale in etichetta rimaneva complessa, quindi si è predisposto un sistema semplice e comprensibile, il Nutri-score.
I francesi sono grandi produttori e consumatori di formaggi, latte e carni. A proposito è nota la frase di Charles de Gaulle: “Come si può governare un paese che ha 246 varietà differenti di formaggio?”. Dunque un boomerang per i produttori? «Ci saranno effetti negativi per alcune categorie – risponde Deserti – ma positivi per altre, come la filiera di frutta e legumi». Alcune categorie di produttori agricoli francesi hanno accusato i ministri di atteggiamenti “talebani” mentre gli industriali (condizionati dagli orientamenti delle multinazionali che hanno proposto un’altra etichetta nutrizionale a Bruxelles) hanno scelto una posizione più defilata.
Dura la reazione dal fronte italiano. La Francia è il terzo mercato per il nostro export alimentare: nel primo semestre del 2017 è aumentato del 7,6% a 1,76 miliardi. Per il presidente di Federalimentare Luigi Scordamaglia il Nutri-score «è una scelta fuorviante per il consumatore: bocciare o promuovere un cibo sulla base della presenza di un singolo ingrediente confonde il cittadino e rischia di essere dannoso per la salute. La Commissione europea deve adottare una politica comune in materia di etichettatura.
Per Giuseppe Ambrosi, presidente di Assolatte “il Nutri-Score spingerà i consumatori ad acquistare solo i prodotti delle due categorie verdi. Ma è un approccio semplicistico e non aiuta a comprendere il contributo, in termini di nutrienti, che ogni alimento apporta alla dieta. A partire dai formaggi della grande tradizione italiana». Per Deserti «la vicenda francese va seguita, perchè può essere l’apripista per la taratura di provvedimenti analoghi negli altri Paesi Ue».
Dieci anni di dispute in sede europea
La voglia di “lampeggianti” sulle confezioni degli alimenti si è fatta strada, nella Ue, da una decina di anni. Genuine esigenze di tutela della salute o surretizi tentativi di limitare l’import alimentare dall’estero? Dubbi mai chiariti.
Nel 2013, con un’etichetta a semaforo (traffic light label) sulle confezioni di ogni prodotto alimentare (da rosso per “nocivo alla salute” a verde per “salutare” a prescindere da dieta e quantità), a partire è stata la Gran Bretagna, “interpretando”, in chiave nazionale, le indicazioni dei cosiddetti “profili nutrizionali”, cioè quelle regole comuni di corretta nutrizione e salute ammesse nell’informazione commerciale dei prodotti e stabilite nel regolamento Ce 1924/2006.
Se la Commissione di Bruxelles puntava a definire semplici criteri – con tenori massimi di grassi, grassi saturi, zuccheri e sodio – in Gran Bretagna l’etichetta a semafori – in uso comunque su base volontaria e non imposta – ha portato al paradosso. Con luci rosse accese su prosciutto crudo e parmigiano (per il contenuto di sodio) e luce verde, ad esempio, sulle bibite gassate “light”. Una strategia mai piaciuta soprattutto ai Paesi del Sud Europa. Più un danno alla concorrenza, tanto da indurre Bruxelles ad avviare una procedura di infrazione verso il Regno Unito.
Nell’aprile 2016 sul punto si espresso anche il Parlamento Ue, approvando, a larga maggioranza, l’articolo 47 del “rapporto Kaufmann”, che chiedeva alla Commissione di eliminare il concetto di “profili nutrizionali”.
Intanto – complice Brexit e una sorta di “libretto di istruzioni” che accompagna il semaforo stesso – la Commissione ha annunciato, questa primavera, la chiusura della procedura di infrazione verso Londra.
Ma la partita non si è chiusa. Anzi, si sono moltiplicati i fronti.
Quasi contemporaneamente, a marzo di quest’anno, 6 multinazionali dell’industria alimentare (Coca-Cola Company, Mars, Mondelez International, Nestlé, PepsiCo e Unilever) hanno proposto, a Bruxelles, un progetto che si basa sull’etichetta nutrizionale a semaforo, come il modello britannico già oggetto di infrazione Ue. Tutela del consumatore o guerra commerciale?
Nello stesso periodo, in Francia, dopo alcuni mesi di sperimentazione, il ministero della Salute ha approvato il sistema di etichette nutrizionali a semaforo “Nutri-score”, che, a differenza di quello britannico, considera i componenti “buoni” e “cattivi”. Sul fronte dei “buoni” si trovano proteine, fibre e la presenza fra gli ingredienti di frutta, verdura e frutta secca. Nel gruppo dei fattori nutritivi “cattivi”, invece, calorie, grassi saturi, zuccheri semplici e sale.
Un sistema cui il Made in Italy si oppone strenuamente. Si chiede alla Ue di darsi delle regole uniformi invece di incoraggiare l’ordine sparso dei Paesi. Infine, c’è anche il rischio che il modello dei “semafori” piaccia e si diffonda in molti Paesi extra-Ue, creando effetti imprevedibili sul nostro export agroalimentare.
Nel 2013, con un’etichetta a semaforo (traffic light label) sulle confezioni di ogni prodotto alimentare (da rosso per “nocivo alla salute” a verde per “salutare” a prescindere da dieta e quantità), a partire è stata la Gran Bretagna, “interpretando”, in chiave nazionale, le indicazioni dei cosiddetti “profili nutrizionali”, cioè quelle regole comuni di corretta nutrizione e salute ammesse nell’informazione commerciale dei prodotti e stabilite nel regolamento Ce 1924/2006.
Se la Commissione di Bruxelles puntava a definire semplici criteri – con tenori massimi di grassi, grassi saturi, zuccheri e sodio – in Gran Bretagna l’etichetta a semafori – in uso comunque su base volontaria e non imposta – ha portato al paradosso. Con luci rosse accese su prosciutto crudo e parmigiano (per il contenuto di sodio) e luce verde, ad esempio, sulle bibite gassate “light”. Una strategia mai piaciuta soprattutto ai Paesi del Sud Europa. Più un danno alla concorrenza, tanto da indurre Bruxelles ad avviare una procedura di infrazione verso il Regno Unito.
Nell’aprile 2016 sul punto si espresso anche il Parlamento Ue, approvando, a larga maggioranza, l’articolo 47 del “rapporto Kaufmann”, che chiedeva alla Commissione di eliminare il concetto di “profili nutrizionali”.
Intanto – complice Brexit e una sorta di “libretto di istruzioni” che accompagna il semaforo stesso – la Commissione ha annunciato, questa primavera, la chiusura della procedura di infrazione verso Londra.
Ma la partita non si è chiusa. Anzi, si sono moltiplicati i fronti.
Quasi contemporaneamente, a marzo di quest’anno, 6 multinazionali dell’industria alimentare (Coca-Cola Company, Mars, Mondelez International, Nestlé, PepsiCo e Unilever) hanno proposto, a Bruxelles, un progetto che si basa sull’etichetta nutrizionale a semaforo, come il modello britannico già oggetto di infrazione Ue. Tutela del consumatore o guerra commerciale?
Nello stesso periodo, in Francia, dopo alcuni mesi di sperimentazione, il ministero della Salute ha approvato il sistema di etichette nutrizionali a semaforo “Nutri-score”, che, a differenza di quello britannico, considera i componenti “buoni” e “cattivi”. Sul fronte dei “buoni” si trovano proteine, fibre e la presenza fra gli ingredienti di frutta, verdura e frutta secca. Nel gruppo dei fattori nutritivi “cattivi”, invece, calorie, grassi saturi, zuccheri semplici e sale.
Un sistema cui il Made in Italy si oppone strenuamente. Si chiede alla Ue di darsi delle regole uniformi invece di incoraggiare l’ordine sparso dei Paesi. Infine, c’è anche il rischio che il modello dei “semafori” piaccia e si diffonda in molti Paesi extra-Ue, creando effetti imprevedibili sul nostro export agroalimentare.
Il Sole 24 Ore – 2 novembre 2017