Enrico Marro. Il rinvio dell’aumento dell’età pensionabile è arrivato in Parlamento. Ed ha alte possibilità di passare. Emendamenti al decreto fiscale collegato alla legge di Bilancio sono stati presentati in Senato sia dalla maggioranza, Pd in testa, sia dall’opposizione per far slittare di sei mesi, cioè al prossimo giugno, il termine entro il quale il governo deve decidere l’adeguamento dell’età di ritiro dal lavoro. In base alla speranza di vita, essa dovrebbe salire di 5 mesi, portando la soglia per accedere alla pensione di vecchiaia a 67 anni dal primo gennaio 2019 mentre il requisito per andare in pensione anticipata salirebbe a 43 anni e tre mesi di contributi. Il decreto interministeriale(Lavoro-Economia)di adeguamento, dice la legge, deve essere adottato almeno un anno prima, cioè entro il 31 dicembre 2018. Gli emendamenti presentati dal Pd propongono di spostare a giugno questo termine. In sostanza sarebbe il prossimo governo, quello che uscirà dalle elezioni, a decidere se dal 2019 si dovrà andare in pensione a 67 anni o ancora a 66 anni e sette mesi.
Tavolo con Gentiloni
Il tema dell’adeguamento dell’età pensionabile sarà anche al centro dell’incontro di oggi alle 16 a Palazzo Chigi tra il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, e i leader sindacali. Susanna Camusso (Cgil), Annamaria Furlan (Cisl) e Carmelo Barbagallo (Uil) chiedono in verità il blocco da subito dell’adeguamento del 2019. Il rinvio della decisione lascerebbe invece la questione aperta, ma certo sarebbe meglio di niente e la Cisl potrebbe considerarlo un risultato accettabile (non la Cgil, già pronta allo sciopero). Nonostante ciò è difficile che il governo, di sua iniziativa, possa fare questa concessione.
Anche se il semplice slittamento della decisione non significa che l’aumento dell’età non ci sarà più, esso diventerebbe incerto, mettendo a rischio i risparmi connessi al progressivo ritardo del pensionamento dovuto all’allungarsi della vita media. Se si saltasse l’adeguamento di 5 mesi previsto nel 2019, bisognerebbe mettere in conto una maggior spesa strutturale di 3 miliardi all’anno, spiegano i tecnici del governo. Che invece stavano lavorando su due ipotesi più soft: la proroga al 2019 dell’Ape social, che consente ai lavoratori più svantaggiati di avere un assegno anticipato di 1.500 euro a carico dello Stato a partire dai 63 anni d’età e l’esclusione dell’aumento dell’età pensionabile per le 11 categorie di lavori gravosi che rientrano nella stessa Ape social. Due misure dall’impatto limitato (20-30mila persone l’anno) per un costo di poche centinaia di milioni.
In ogni caso, il pressing bipartisan, ma soprattutto del Pd sui 67 anni, crea un problema al governo, che non può far finta di niente. E dovrà decidere che posizione prendere quando gli emendamenti del partito di Matteo Renzi arriveranno al voto: darà parere favorevole, contrario (improbabile) o si rimetterà all’aula, che equivarrebbe di fatto a un via libera al rinvio a giugno, visto lo schieramento bipartisan?
Fisco
Schieramento bipartisan che si è costituito anche sul fronte fiscale. Altri emendamenti al decreto legge chiedono infatti di ampliare la nuova rottamazione ammettendo le cartelle Equitalia notificate fino al 31 dicembre di quest’anno; di riaprire quella vecchia (cartelle dal 2000 al 2016) e di prevedere una maggiore rateizzazione per gli importi sopra un milione. Inoltre, come aveva già proposto il direttore dell’Agenzia delle Entrate Ruffini, altri emendamenti sono per riportare la cadenza dello «spesometro» da semestrale ad annuale. Una cedolare secca al 15% per favorire la riapertura di negozi, bar e botteghe artigiane nei centri storici è invece proposta dal Pd. Infine, Pd e Ap propongono un fondo ad hoc per i caregivers , cioè le persone impegnate nell’assistenza a partenti disabili.
Il Corriere della Sera – 2 novembre 2017