Roberto Galullo, Il Sole 24 Ore. La Regione Sicilia è terra di primati che, se il mondo si capovolgesse, la porrebbero come esempio virtuoso. Invece no, il mondo non guarda al contrario e resta attonito di fronte ad una spesa annua per il personale che, compresi gli oneri sociali, tocca il record di un miliardo, poco meno della metà di quello che impiegano complessivamente le 15 regioni a statuto ordinario per pagare il proprio personale.I dipendenti ufficiali della Regione Sicilia, secondo l’ultima statistica comparabile elaborata per il 2015 dalla Corte dei conti, sono 17.057.
Il numero dei dipendenti è cinque volte quello della Regione Lombardia, che ha però il doppio degli abitanti rispetto alla Sicilia.
Dei circa 17mila dipendenti, 4.857 sono ex precari, che negli ultimi anni sono stati assunti – senza concorso – con contratto a tempo indeterminato.
Ci sono poi 717 impiegati presso altre strutture, ma pagati dalla Regione, 2.293 dipendenti con contratto a termine e 7.291 dipendenti delle società partecipate della Regione Siciliana. In totale un esercito di circa 28.796 dipendenti, senza contare 24.880 tra forestali e lavoratori socialmente utili. «In questi anni non è stato possibile far approvare nelle varie leggi di stabilità regionali la cornice per la politica industriale – spiega sconsolato Alessandro Albanese, vice presidente vicario di Sicindustria – né la riforma per la semplificazione e l’ammodernamento burocratico amministrativo. L’emergenza numero uno non è stata negli anni quella di restituire potere d’acquisto alle famiglie, aumentando l’offerta di lavoro reale e non assistito, ma far viaggiare a mille una elefantiaca macchina amministrativa che è la madre di tutte le intermediazioni parassitarie».
Secondo gli ultimi dati della Regione, il personale sarebbe sceso a 14.838 persone,con un costo di 866 milioni. La media complessiva di assenze (meno la formazione) di tutto il personale è di 21,59 giorni più una media di 31,74 giorni di ferie: 53,33 giorni in tutto. Se (sembra) calare il personale, le consulenze si sprecano: dal 2013 a oggi 304 nomine, con una media di 5 al mese.
Il plotone dei dirigenti
I dirigenti (a tempo indeterminato e determinato più i direttori generali) nelle 15 regioni italiane a statuto ordinario nel 2015 erano complessivamente 1.919. Sapete quanti erano nella sola Sicilia? 1.692.
Dalla relazione sul rendiconto dell’esercizio 2016 della Corte dei conti: «Gli impegni assunti dalla Regione per i redditi di lavoro dipendente (retribuzioni, oneri sociali e pensioni) registrano, nel 2016, una riduzione complessiva di 163 milioni di euro (10,8 % su base annua), mentre nell’anno precedente la flessione era stata di poco superiore al 2%, attestandosi a 1.348 milioni. In particolare, nel 2016 la spesa per retribuzioni (stipendi e salario accessorio) si contrae di 66,7 milioni, oltre il 9% su base annua (9,5%); di un’analoga percentuale si riduce quella per gli oneri sociali (9,1%, corrispondente a un risparmio di 18,7 milioni).
La spesa pensionistica registra, invece, una flessione apparente e condiziona anche l’attendibilità del surriferito dato complessivo».
Capacità organizzativa
«Alla Regione Siciliana è mancata la capacità di ripensare nel tempo la sua organizzazione – spiega Roberto Pignatone, professore alla Facoltà di Scienze economiche, aziendali e statistiche dell’Università di Palermo – che si è sviluppata senza un disegno razionale ma inseguendo le urgenze. Negli uffici sembra prevalere l’interesse a ridurre al minimo l’esposizione al rischio rispetto alla consapevolezza dell’importanza di conseguire gli obiettivi, quando non si aggiunge il peso dell’intimidazione o della corruzione. Occorrono regole certe e controlli efficienti per fornire opportunità di sviluppo. I tempi di risposta devono essere compatibili con le esigenze dei soggetti interessati e le responsabilità devono essere definite e verificabili. L’imprevista e immotivata modifica delle regole, l’inaccettabile durata dei procedimenti, i ritardi nella erogazione delle somme dovute, gli adempimenti inutilmente moltiplicati pregiudicano irreparabilmente la realizzazione degli investimenti e la stessa sopravvivenza dell’impresa».
In questa situazione che agghiacciare il mondo fa, anziché dimagrire, l’esercito della burocrazia, in un modo o nell’altro, continua a ingrossare le fila e, durante la campagna elettorale, uno tra i giochi preferiti è quello della stabilizzazione dei precari. Senza distinzione di colore politico perché sta bene a tutti.
Sta bene a chi governa e a chi è stato all’opposizione e sta benissimo a chi spera di entrare a Palazzo d’Orleans. Tutti rimandano ad altri per non assumersi la responsabilità di dire: «È colpa mia».
«Senza di loro i Comuni non potrebbero andare avanti – ha detto ad esempio il 2 ottobre Angelo Cambiano, ex sindaco antiabusivismo edilizio di Licata, assessore regionale in pectore agli Enti locali del M5S – e non possiamo mantenere ancora nel precariato queste persone dopo oltre venti anni. Pensando a una azione di governo, penso che la Regione possa fare tanto: ma io non prometto nulla, penso che alla luce del decreto nazionale approvato lo scorso 20 giugno si possa fare qualcosa». Il decreto a cui rimanda il M5S è quello in realtà entrato in vigore il 22 giugno, che riforma del lavoro pubblico (cosiddetta “Madia”) e che nel quadro della più ampia delega in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, punta all’obiettivo dichiarato di ridurre il precariato.
Il vecchio che avanza
Se il nuovo che avanza ha già imparato i trucchi del mestiere, figuriamoci il vecchio che (almeno a leggere i sondaggi) arretra. Il 31 dicembre 2016, mentre gli italiani erano pronti a far saltare i tappi di spumante, la politica siciliana faceva la ola per la legge n.27 appena approvata, che stabilizza i precari dell’isola, che sarebbero oltre 20mila (in realtà nessuno sa il numero preciso). Rimaneva un solo (teorico) ostacolo: l’impugnazione della legge da parte del Governo. Figuriamoci.
Il 23 febbraio sono scaduti i termini e il giorno stesso Davide Faraone, palermitano nominato il 29 gennaio 2016 sottosegretario alla Salute, settore nel quale in Sicilia i precari sono almeno duemila, ha dichiarato: «Adesso si avvii subito il percorso che in due anni deve portare a completare la stabilizzazione. Chiudiamo questa stagione di clientela e apriamo la stagione dei diritti e del merito». Sono 20 anni che la politica di ogni colore lo ripete.
Per non farsi mancare niente il 13 luglio la deputata grillina catanese Giulia Grillo, medico chirurgo, è stata la prima firmataria di un’interrogazione ai ministri della Salute e dell’Economia sulla stabilizzazione dei precari nel settore sanitario.
La “vecchia” politica, sapendo che dietro ogni precario c’è una famiglia e chissà quanti voti, non può certo lasciare il campo aperto agli ultimi arrivati. Soprattutto sotto elezioni.
C’è spazio per tutti
Il 3 ottobre Carmencita Mangano, psichiatra, assessore regionale al Lavoro e candidata alle regionali per Alternativa popolare-Centristi per Micari, ha firmato la direttiva esplicativa della normativa regionale che disciplina il percorso di stabilizzazione del personale delle attività socialmente utili. Entro l’8 novembre i lavoratori impiegati dovranno presentare l’istanza per l’inserimento nella “sezione esuberi” all’interno dell’elenco unico regionale, istituita per agevolare lo svuotamento del bacino.
Con una nuova direttiva del 6 ottobre, l’assessorato regionale alla Salute guidato da Baldo Gucciardi, trapanese, deputato regionale Pd da tre legislature, dirigente di aziende sanitarie locali, ha sbloccato la seconda tranche di assunzioni a tempo indeterminato negli ospedali ma anche questa mossa, come altre, ha sollevato polemiche e aumentato il già pesante rischio di ricorsi e contenziosi. Ancora candidato per il Pd, il suo slogan è: «Una politica dei risultati per garantire ai siciliani servizi sanitari innovativi ed efficienti». A fronte delle 7.500 assunzioni, dei 2mila nuovi posti letto e dei 190 milioni risparmiati nel 2016, secondo l’indice di performance sanitario elaborato dall’Istituto Demoskopika, la realtà sanitaria siciliana è però la più malata a eccezione della Calabria.
Inoltre, nonostante la Sicilia nel 2015 (ultimo dato elaborato) abbia speso 1.696 euro all’anno per ogni residente, le famiglie che sono scese al di sotto della soglia di povertà a causa delle spese non rimborsate (farmaci, case di cura, visite specialistiche e cure odontoiatriche) nello stesso anno sono state 69mila. Peggio, solo la solita Calabria.
Potevano i manager regionali restare inoperosi? No, e così il 18 ottobre la dirigente generale della Funzione pubblica Luciana Giammanco ha emanato una direttiva (autorizzata dal mandato della Giunta regionale del 15 settembre), che conferma il via libera per le procedure di stabilizzazione. Non costa nulla farlo. Secondo la cosiddetta riforma Madia, infatti, i soldi devono metterli le amministrazioni e i soldi per farlo, in questa campagna elettorale siciliana, nessuno tra i candidati dice da dove li prenderà.
Il Sole 24 Ore – 27 ottobre 2017