La certezza risiede nel fatto che quella per il rinnovo contrattuale degli statali sarà la voce di spesa protagonista nella parte della manovra che rimane dopo lo sforzo da 14,7 miliardi (più un miliardo dal decreto fiscale) necessario a bloccare gli aumenti Iva. Le incognite continuano invece a circondare due snodi cruciali della partita: il tentativo di blindare per legge la clausola che salva il bonus da 80 euro dall’effetto degli aumenti in busta paga, e la possibilità di dare una mano anche a sanità, regioni ed enti locali per i costi dei nuovi contratti che ricadono sui loro bilanci. Ma va detto, anche se i numeri della manovra sono stati ancora molto in movimento delle riunioni del fine settimana, che per quest’ultimo aspetto gli spazi appaiono stretti, e che il tema sembra destinato a rimanere in agenda durante il percorso parlamentare della legge.
I soli contratti della pubblica amministrazione centrale, dai ministeri alle agenzie fiscali passando per gli enti pubblici come Inps e Inail, assorbono già una quota rilevante dell’energia finanziaria lasciata libera dalle clausole di salvaguardia. Per finanziare gli 85 euro di aumenti medi sanciti dall’accordo fra governo e sindacati occorrono circa 1,7 miliardi, altri 100-150 milioni servono a garantire che l’aumento non cancelli il bonus Renzi a chi lo riceve oggi, e l’ultima tessera da 100-200 milioni è destinata alla carriera delle forze di sicurezza e delle forze armate.
Non è quindi il costo a rendere intricata la matassa degli 80 euro, che in realtà sono meno perché il rischio di perdere il bonus riguarda chi oggi guadagna intorno ai 25mila euro lordi e quindi è nella fascia del decalage che abbassa l’aiuto all’aumentare del reddito (nelle buste paga dei singoli la questione vale quindi in media 40 euro al mese). Il problema è come allestire il meccanismo di salvaguardia. In questi giorni sui tavoli tecnici è girata più di un’ipotesi, da un ritocco delle fasce di reddito che danno diritto al bonus, limitato però ai soli dipendenti pubblici, a un comma che renda legge la garanzia scritta nell’intesa di novembre. Ma la prima strada è accidentata sia sul piano politico sia su quello costituzionale, la seconda avrebbe invece scarse ricadute pratiche. Il problema può quindi tornare intatto sui tavoli contrattuali, dove andrà studiato un meccanismo in grado di individuare i soggetti da “tutelare”. La risposta non è semplice, in quanto il bonus è distribuito in base al reddito complessivo (non solo quello da lavoro) certificato solo dalla dichiarazione dell’anno successivo, ma è decisiva per i diretti interessati: anche perché gli euro degli aumenti contrattuali sono lordi, quelli del bonus sono netti.
La questione si intreccia con le sorti del fondo sanitario, perché il rinnovo contrattuale assorbirà buona parte dell’aumento da un miliardo già in programma per il 2018. Su comuni, città metropolitane e province, invece, la ricaduta vale intorno ai 600 milioni. Per questa ragione sia i governatori sia i sindaci hanno cominciato a chiedere un aiuto statale alla bisogna, ma finora la ricerca delle compatibilità finanziarie alla Ragioneria non sembra aver dato grossi risultati.
Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 15 ottobre 2017