Via alla kermesse mondiale dell’alimentare. Ieri a Colonia si è aperta Anuga 2017, l’appuntamento globale di food & beverage con la partecipazione di 7.400 espositori provenienti da 107 Paesi, 160mila operatori e le principali catene distributive. Una vetrina mondiale ambitissima (fino all’11 ottobre) dall’alimentare tricolore che non a caso partecipa con 950 imprese, in assoluto il Paese più rappresentato. Più dei tedeschi, con 716 espositori. A quest’edizione della biennale c’è la novità del desk italiano anti-contraffazione che chiederà l’intervento delle autorità tedesche non solo per i casi di violazione del marchio ma anche per l’evocazione fraudolenta di italianità.
«Anuga è un appuntamento irrinunciabile per l’agroalimentare italiano – spiega da Colonia Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare -. Dobbiamo sfruttare l’onda lunga del made in Italy, anche se oggi le nostre esportazioni volano del 7% nel primo semestre dell’anno. Stimiamo di chiudere l’anno con una crescita compresa tra il 6 e il 7%». Sul fronte della produzione l’industria alimentare a luglio ha segnato un +6,9% su base annuale. «Il settore ha fatto non solo bene, ma meglio del +4,4% del totale industria» sottolinea Scordamaglia -.
L’ufficio studi di Federalimentare prevede che quest’anno la produzione si attesti (prudentemente per la stasi dei consumi interni) a 134 miliardi (+1,5%), con un export intorno ai 32 miliardi (+6/7%). Nel primo semestre 2017 la Germania si è confermato primo mercato di sbocco con 2,25 miliardi, ma con un inatteso -0,1%; gli Usa accelerano del 6,9% a 1,9 miliardi e la Francia del 7,6% a 1,7 miliardi; quasi fermo, +1% a 1,3 miliardi, il Regno Unito. In forte ripresa la Russia, +37% a 195 milioni, mentre accelera la Cina, +24%, ma il dato assoluto si ferma a 184 milioni.
«La Germania è il partner numero 1 – spiega Scordamglia -. Una pausa ci sta, ma la crescita deve riprendere. Negli Usa invece si vedono i frutti del Piano made in Italy finanziato dal governo italiano con 120 milioni per il biennio 2016/17. L’anno scorso 1.500 imprese sono arrivare sugli scaffali dei retailer Usa, di cui 370 per la prima volta. Quindi non solo più export, ma più imprese che esportano. Quest’anno il progetto si allarga al Far East».
Tra le 950 imprese italiane di Anuga, c’è Granarolo. «Il nostro export deve superare il 40% del fatturato entro il 2019 – ribadisce il presidente Gianpiero Calzolari-. Anuga è la vetrina dove presentiamo le ultime due novità: lo stagionato Granarolo 400, un formaggio simbolo che valorizza la nostra filiera, e gli snack al formaggio Groksì, prodotti con un metodo brevettato. Naturalmente senza lattosio e senza glutine, una risposta forte alla domanda di benessere».
Nel dolciario, anche Balocco punta su Anuga per aumentare la quota export che oggi è solo del 12%. «Vorrei portarla al 24% a breve – dichiara (scherzando) l’ad Alberto Balocco -. In azienda stiamo per avviare l’ampliamento e dello stabilimento e le nuove linee di produzione permetteranno di diversificare nel fuori pasto, in parte destinato all’estero. Per esempio, i wafer intercettano un interesse fortissimo nei mercati esteri».
«Anuga dispone di un servizio legale che si chiama “no copy” – spiega Thomas Rosolia, ad di Kohln Messe Italia – e che, nei casi di reale contraffazione, interviene. L’azienda che sporge denuncia dev’essere però munita dei brevetti».
A Federalimentare e Cibus-Fiere di Parma non basta e da quest’edizione offrono, direttamente dal desk, la funzione di primo ascolto gratuita e un servizio di consulenza legale per le aziende che segnalino episodi di contraffazione e imitazione dei prodotti e casi di Italian sounding, cioè la pratica ingannevole di attribuire origine italiana a un prodotto che tale non è. «Con il nostro desk – osserva Scordamaglia – estendiamo il concetto di contraffazione: andiamo dal trade mark all’evocazione di italianità. Esigiamo il massimo rispetto del regolamento Ue n. 1169/2011».
Nella precedente biennale di Colonia si registrarono diversi casi di falsi ed evocazioni ingannevoli. Per esempio, le autorità tedesche sequestrarono confezioni di pasta sulle quali spiccavano “Italiano” e “Milano”, con bandiera tricolore, ma erano state prodotte in Egitto e a Dubai. Analogo provvedimento era stato adottato, su iniziativa del Consorzio del Parmigiano reggiano (ma anche Pecorino e Asiago), per un formaggio denominato “Reggianito” mentre per altri due formaggi il sequestro scattò per ragioni sanitarie. Peraltro in Europa è vietato ricorrere al termine non generico “Parmesan”, perchè rappresenta un’evocazione della denominazione “Parmigiano Reggiano” e non può essere utilizzato per formaggi non conformi al disciplinare della Dop italiana
IL Sole 24 Ore – 8 ottobre 2017