È stata la vera emergenza del comparto agroalimentare del 2017 e continua a fare danni (soprattutto economici). Il virus H5N8, quello dell’influenza aviaria crea più grattacapi, almeno in Veneto, di quanti non abbia fatto la siccità, altra sciagura che si è abbattuta sul settore.
Questa volta, l’ultimo focolaio, individuato la scorsa settimana, è arrivato a preoccupare – seppur indirettamente – anche un big, il gruppo Veronesi. Il 29 settembre, infatti, sono stati individuati tre allevamenti con la presenza del virus, tra le provincie di Verona e Vicenza. Uno in località Scimmia, a ridosso del confine comunale con Verona. Siamo a meno di due chilometri, in linea d’aria, da uno degli stabilimenti principali, quello dell’Aia.Tenere conto della distanza è fondamentale. Secondo la prassi, infatti, è stata individuata una zona di sorveglianza (del raggio di dieci chilometri) e una di protezione. Quest’ultima è quella che prevede le misure più drastiche, della durata di ventun giorni. Tra le altre cose, prevede un censimento di tutti gli allevamenti presenti, la registrazione di tutti i visitatori che entrano ed escono dagli stessi e la compilazione di un registro con le visite dei veterinari e i relativi risultati. Severamente vietato, anche nella zona di sorveglianza lo spostamento e l’accasamento degli animali: è questo provvedimento che pesa per di più sulle aziende, per un totale, in provincia, di svariate centinaia di migliaia di euro.
Problemi che non riguardano le aziende che, però, trattano la carne. Tuttavia l’Aia ha, in quella sede, uno dei più importanti macelli industriali della regione (un altro è a Campiglia dei Berici, nel Basso Vicentino, dove si è registrato un altro caso). Dal punto di vista delle norme italiane e comunitarie non c’è alcun problema. Ma alcuni paesi extra Ue prevedono regole più severe per quello che tecnicamente si chiama «rischio di contaminazione crociata». Un caso è rappresentato dalla Serbia che, in questi casi, blocca le importazioni. Il problema si è posto tanto che, nei primi giorni della settimana, in azienda è stato preso in considerazione di fermare l’impianto. Finché non è intervenuta una deroga, che ha escluso l’Aia dalla zona di protezione, a seguito di un sopralluogo dei veterinari. Abbastanza per tirare un sospiro di sollievo: è lo stesso Giordano Veronesi a far sapere che la vicenda è «stata completamente risolta». Resta la minaccia che continua a rappresentare il virus non esclusivamente per gli allevamenti. A quello di San Martino, la contaminazione è costata l’abbattimento di 8.520 tacchini (in assoluto la specie più esposta al virus). In provincia si tratta del dodicesimo focolaio scoperto: 182mila gli animali soppressi.
Il Corriere del Veneto – 8 ottobre 2017