Una riforma incompiuta, quella del sistema sanitario del Veneto sul fronte dei servizi territoriali. A fronte di un ridimensionamento dei posti letto negli ospedali, dovevano essere incrementati i servizi territoriali con la nascita di nuovi ospedali di comunità e una rete di medicine di gruppo integrate gestite dai medici di medicina generale. Invece, la trasformazione procede a rilento. «Mancano le risorse» ha ammesso Claudio Costa, il direttore delle risorse strumentali della sanità in Regione, che non ha risparmiato critiche anche ai medici di famiglia: «Si fanno pagare anche l’aria che respirano». Intanto, al di fuori degli ospedali, «non c’è risposta ai bisogni di salute di chi non è ricoverato», ha denunciato il presidente del collegio degli infermieri di Venezia, Luigino Schiavon, e l’assistenza è lasciata a un «esercito di badanti che supplisce a un deficit del sistema». Un quadro problematico, quello emerso dalla tavola rotonda organizzata dalla Uil per la sua festa della solidarietà. Tante voci per raccontare le evoluzioni del sistema socio sanitario in Veneto, con un’attenzione particolare all’Ulss 3 Serenissima.
IL TERRITORIO. Molti hanno testimoniato i ritardi del territorio rispetto al piano socio sanitario del 2012-16, prorogato al 2018. Il consigliere regionale Pd Claudio Sinigaglia ha dato qualche numero: 75 le medicine di gruppo attivate su 350. Appena 200 i posti letto di strutture intermedie su 1.236 previste. Il direttore sanitario dell’Ulss 3, Onofrio Lamanna, ha sottolineato le differenze tra le tre ex Ulss ora riunite nella Serenissima, mega-azienda da 7.500 dipendenti. Ad esempio le medicine di gruppo sono ben 5 a Chioggia, quasi la totalità, solo 4 a Venezia Mestre, 5 a Dolo Mirano. E i cittadini che non sanno a chi rivolgersi sul territorio continuano a intasare i pronti soccorsi. «90mila accessi all’anno all’Angelo. Ogni anno aumentano – ha continuato Lamanna – Per far funzionare meglio i nostri pronti soccorsi abbiamo creato dei tavoli di confronto tra i medici di medicina generale e i primari degli stessi pronti soccorsi».
IL NODO DEI FONDI. Colpa dei mancati trasferimenti da Roma, secondo Costa. Le grandi riforme a costo zero non si fanno. Contraddetto però da Sinigaglia: «Le risorse sono sempre aumentate. Peraltro, che fine hanno fatto i risparmi legati all’accorpamento delle Ulss? Con la riduzione dei direttori generali si sono risparmiati 90 milioni, per le medicine integrate ne servono 130. Bastava recuperare i 40 mancanti». In discussione anche la convenzione dei medici di medicina generale che, tra l’altro, hanno avviato il loro sciopero anche per i ritardi delle medicine di gruppo. Costa, oltre a criticarne le richieste economiche («mi ricordano il doganiere che chiede il fiorino a Troisi e Benigni in Non ci resta che piangere») ne ha fatto anche un problema di modello organizzativo. «Ci si chiede se la convenzione sia lo strumento più idoneo».
RADIOLOGI IN FUGA. Il segretario generale della Uil Fpl Veneto, D’Emanuele Scarparo, è andato oltre: «I medici di medicina generale oggi sono ridotti a scribacchini. Dovrebbe essere personale dipendente delle Ulss che fanno la loro esperienza negli ospedali per poi trasmetterla ai cittadini». Un’altra faccia della questione l’ha portata il rappresentante dell’Ordine dei medici, Gabriele Gasparini. «Ci sono specialità che non vuole fare più nessuno. In radiologia a Mestre sono andati via otto medici. I concorsi vanno a vuoto. Con il contratto fermo e le specialità attuali, presto resteremo senza medici. Nessuno ci ascolta. Ma il rischio è quello di doverci dimenticare la qualità della sanità di oggi». (Roberta Brunetti)
IL GAZZETTINO – Domenica, 01 ottobre 2017