Visto che il ministero della Salute ha risposto picche alla richiesta del Veneto di imporre in tutto il Paese limiti più severi allo sversamento di Pfas (sostanze perfluoro-alchiliche) nelle acque, la Regione ha deciso di metterseli da sé.
Martedì l’assessore alla Sanità, Luca Coletto, porterà in giunta una delibera che abbassa i parametri a 90 nanogrammi per litro intesi come somma di Pfoa e Pfos (contro la soglia limite generale di 500) e a 30 nanogrammi per litro come concentrazione massima di soli Pfos. Nei 21 Comuni più colpiti tra le province di Vicenza, Verona e Padova (127mila abitanti) i Pfoa non devono superare i 40 nanogrammi per litro e, nel rispetto del principio di precauzione, si abbassa a 300 nanogrammi per litro la somma degli altri Pfas «a catena corta» (quindi ad esclusione di Pfos e Pfoa). Livelli unici a livello internazionale. «Nel giro di dieci giorni, grazie al ricorso a filtri speciali, nella zona rossa l’acqua potabile scenderà al minimo storico di Pfas», annuncia Nicola Dell’Acqua, direttore generale dell’Arpav e coordinatore della Commissione tecnica Pfas, che martedì scorso si è riunita proprio per elaborare i nuovi valori. «Oggi nei 21 Comuni inquinati, la presenza di queste sostanze sintetiche è già bassa — aggiunge Dell’Acqua — i Pfoa sono a 78 nanogrammi per litro, i Pfos a 22. Un risultato frutto di anni di studi senza precedenti e che la commissione nazionale Ecomafie, durante l’audizione del sottoscritto e degli assessori Luca Coletto e Gianpaolo Bottacin avvenuta giovedì, ha riconosciuto. Ma ora dobbiamo consolidare il traguardo raggiunto, da qui a cinque anni».
E infatti lunedì a Vicenza i tecnici dell’Arpav incontreranno i gestori degli acquedotti per definire un piano operativo articolato in tre fasi: la prima, già iniziata, è l’installazione dei nuovi filtri; la seconda prevede 3-4 milioni di euro di investimenti per cambiare le batterie ai filtri e quindi migliorare ulteriormente la qualità dell’acqua; la terza contempla il rinnovo della rete degli acquedotti, per portare acqua pulita nelle aree inquinate. «A tale scopo aspettiamo da Roma gli 80 milioni di euro dei Fondi Sviluppo e Coesione sbloccati dalla Corte dei Conti l’11 settembre ma non ancora arrivati perché manca una firma del ministero dell’Economia — annuncia Bottacin, assessore all’Ambiente —. Quest’ultimo paletto dovrebbe cadere a metà ottobre. Nel frattempo non siamo stati con le mani in mano ma abbiamo realizzato, con una spesa di 2,8 milioni di euro, i pozzi di Carmignano di Brenta, ora sotto collaudo, avviato gli espropri tra Casale di Scodosia e Montagnana e completato i progetti per il resto delle rete». Dal 2013, anno in cui è emerso l’inquinamento da Pfas, la Regione ha speso tra i 16 e 17 milioni di euro tra screening sanitari, filtri, tecnologie a disposizione dell’Arpav per le analisi dell’acqua, pozzi e altri interventi. Soldi che saranno chiesti in forma di risarcimento al colpevole dell’avvelenamento della falda, quando l’inchiesta avviata dalla Procura di Vicenza arriverà a conclusione.
A proposito di sanità, è stato concluso lo screening su 5mila degli 85mila abitanti selezionati nell’area rossa tra 14 e 65 anni (e ai quali a breve si aggiungeranno gli under 14 e gli over 65). Gli esiti degli esami del sangue sui primi 3700 soggetti evidenziano una maggiore concentrazione di Pfoa, 57 nanogrammi per litro, nei residenti dell’Area A (tra Vicenza e Padova) rispetto a quelli della B (Verona). Qualcuno evidenzia valori alterati ed è stato indirizzato agli ambulatori di secondo livello, attivati per prevenire ipertensione, diabete, problemi alla tiroide e colesterolo, legati all’esposizione a Pfas. (Il Corriere Veneto – 30 settembre 2017)
Interviene Boscagin: «Rimane il problema di pozzi e alimenti»
«Nessuno si illuda che con i limiti che la Regione intende mettere per l’acqua potabile il problema Pfas sia risolto; non lo è neanche in minima parte». Piergiorgio Boscagin, portavoce del comitato Acqua libera dai Pfas e di Legambiente, commenta l’evoluzione che ha avuto la questione della contaminazione. «Non va abbassata la guardia perché», spiega, «non solo continuano a rimanere aperti tutti i fronti, ma addirittura sembra che ci si sia dimenticati di alcuni elementi importanti della vicenda». Boscagin aggiunge: «Con i parametri di riferimento, che la Regione poteva fissare sin dall’inizio invece di tergiversare, non è che le sostanze perfluoro-alchiliche spariscano dall’acqua. Continueranno ad esserci anche se m forma minore e, quindi, ad essere assunte da persone che già le hanno nel sangue, perché solo con il cambio delle fontì questo aspetto del problema sarà risolto». Boscagin insiste: «Continua tra l’altro a restare aperto il tema degli alimenti». Poi precisa: «Dell’esito dei controlli sui prodotti del territorio contaminato non si sa nulla, e vai la pena di ricordare che un primo campionamento di questo tipo aveva dato risultati preoccupanti, così come più nessuno parla delle acque superficiali, specie di quelle che vengono usate per l’irrigazione, e nemmeno dei pozzi privati». (L’Arena – 30 settembre 2017)