«Ritiro la sospensione dell’obbligo vaccinale – disse il governatore Luca Zaia venti giorni fa – ma sarà il Consiglio di Stato a dirci chi aveva davvero ragione». E il Consiglio di Stato ieri si è pronunciato: aveva ragione il ministero dell Sanità, per cui il Veneto bene ha fatto a tornare sui suoi passi, allineandosi alle altre Regioni italiane (compresa la Lombardia che pure aveva contestato la legge Lorenzin, decidendo poi di sfilarsi dal conflitto istituzionale).
Il verdetto è arrivato nel giorno in cui è stata resa nota la data dell’udienza pubblica davanti alla Corte costituzionale che ora Zaia indica come il vero redde rationem col ministro Beatrice Lorenzin (sarà il 21 novembre, la Regione ha impugnato sia il decreto che la legge di conversione; no-vax e free-vax fanno sapere che saranno presenti in massa), e certo rappresenta un punto a favore del governo che da subito, con la stessa Lorenzin e il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli, aveva smentito l’interpretazione data alle norme dal direttore generale della Sanità Domenico Mantoan, che mettendo a confronto due passaggi apparentemente contraddittori aveva decretato la sospensione dell’obbligo vaccinale fino al 2019.
«Già a decorrere dall’anno scolastico in corso – afferma inequivocabile il Consiglio di Stato – trova applicazione la regola secondo cui, per accedere ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia, occorre presentare la documentazione che provi l’avvenuta vaccinazione». I magistrati, peraltro, circostanziano la loro decisione con parole che entrano nel merito della diatriba tra Venezia e Roma, quasi anticipando il possibile verdetto della Corte costituzionale: «La copertura vaccinale può non essere oggetto dell’interesse di un singolo individuo – scrivono – ma sicuramente è d’interesse primario della collettività» e «la sua obbligatorietà può essere imposta ai cittadini dalla legge, con sanzioni proporzionate e forme di coazione indiretta variamente configurate». Porre ostacoli ai vaccini accreditati dalla scienza medico-legale e dalle autorità pubbliche, quindi, «vulnera immediatamente l’interesse collettivo, giacché rischia di ledere, talora irreparabilmente, la salute di altri soggetti deboli». E ancora, solo la più ampia vaccinazione dei bambini costituisce «misura idonea e proporzionata a garantire la salute di altri bambini» e permette di proteggere, «grazie al raggiungimento dell’obiettivo dell’ immunità di gregge, la salute delle fasce più deboli». E ancora, interpretando la Carta e contrariamente a quanto affermato dai «sostenitori di alcune interpretazioni riduzionistiche del diritto alla salute, la Costituzione non riconosce un’incondizionata e assoluta libertà di non curarsi o di non essere sottoposti trattamenti sanitari obbligatori, per la semplice ragione che, soprattutto nelle patologie ad alta diffusività, una cura sbagliata o la decisione individuale di non curarsi può danneggiare la salute di molti altri esseri umani».
Zaia incassa con sportività («Il parere al Consiglio di Stato lo avevamo chiesto noi, quindi ne rispettiamo totalmente le conclusioni») e rimanda per lo showdown col governo all’udienza di novembre davanti alla Consulta: «Il nostro ricorso resta in piedi». Parole che anticipano, negativamente, la risposta alla richiesta subito partita dalla consigliera dem Alessandra Moretti: «Non ci sono più dubbi né scuse, adesso Zaia sia coerente con il parere del Consiglio di Stato e con quello della stragrande maggioranza dei veneti e ritiri il ricorso». Intanto il deputato del Pd Filippo Crimì polemizza: «Zaia ha cercato di lucrare qualche voto da quei genitori contrari all’applicazione della legge ma invece di trasformare in terreno di scontro politico ogni tema, compresa la salute dei bambini, cerchi di mantenere un atteggiamento serio e uno spirito di leale collaborazione tra istituzioni».
Corriere del Veneto – 27 settembre 2017