di Davide Colombo e Marco Rogari, Il Sole 24 Ore. Sospendere temporaneamente l’adeguamento automatico dei requisiti di pensionamento all’aspettativa di vita, mantenendo il livello attuale di 66 anni e 7 mesi per la vecchiaia e a 42 anni e 10 mesi per l’anticipo (41 e 10 mesi per le donne) fino al 2021 potrebbe costare fino a 5 miliardi cumulati tra il 2019 e il 2020. Invece riconoscere un bonus di un anno per ogni figlio per consentire un ritiro più flessibile a tutte le lavoratrici innescherebbe una maggiore spesa per 1-1,2 miliardi l’anno nei primi tre anni di applicazione, per arrivare a una maggiore spesa a regime di 2,5 miliardi nei primi dieci anni.
Solo queste due misure, che stanno in vetta alle richieste avanzate dai sindacati nel documento unitario presentato due giorni fa al Governo, si tradurrebbero in una maggiore spesa per 3-4 miliardi l’anno tra il 2019 e il 2020, gli ultimi due anni di programmazione coperti dalla prossima legge di Bilancio 2018: quasi la metà di quanto il governo ha messo in campo, per il triennio in corso, con le misure previdenziale varate l’anno passato (circa 7 miliardi). Le altre richieste – la garanzia sulle pensioni dei giovani o le incentivazioni alla previdenza complementare – avrebbero in gran parte un impatto più lieve e spostato nel tempo.
I calcoli sulla portata finanziaria delle richieste sindacali sono ancora in corso. Le valutazioni «puntuali» come ha garantito il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, arriveranno dopo il varo della Nadef e il G7 del Lavoro, il 29 e 30 settembre. Ma qualche indicazione comincia a circolare. Il blocco dell’adeguamento automatico alla speranza di vita a 65 anni, che si dovrebbe fare entro ottobre cancellando dall’agenda il previsto decreto direttoriale Mef-Lavoro, era già finito due mesi fa nel mirino della Ragioneria generale dello Stato e dell’Inps. La traiettoria della spesa cambierebbe radicalmente – era stato osservato – e il presidente dell’Inps, Tito Boeri, aveva quantificato in 141 miliardi la maggiore spesa cumulata entro il 2035 con un blocco a 67 anni dell’età nel 2021.
Ma a chiedere una sospensione del meccanismo restano anche, oltre alla richiesta formale del sindacato, diversi esponenti della maggioranza di governo, a partire dai presidenti delle due commissioni Lavoro di Camera e Senato, Cesare Damiano (Pd) e Maurizio Sacconi (Ei). Nella Nota di aggiornamento al Def saranno rese note le nuove proiezioni della spesa previdenziale (per il 2017 si prevede una crescita dell’1,3%). Dati che dovrebbero confermare anche i nuovi oneri, già previsti nei tendenziali, derivanti dal ritorno all’indicizzazione delle pensioni di tutti gli scaglioni (si prevede una spesa di circa 1,6 miliardi in più l’anno, dal 2019, dopo i risparmi cumulati con il parziale blocco pari a 2,3 miliardi tra il 2014 e il 2018). Vale ricordare che su questo fronte l’attesa resta per il pronunciamento della Consulta sui ricorsi presentati contro il decreto di parziale adeguamento adottato due anni fa.
Pensioni, misure light per giovani e “integrativa”
Sulle pensioni dei giovani, vale ricordarlo, il Governo ha presentato una sua proposta per garantire un assegno di 660-680 euro abbassando da 1,5 a 1,2 la soglia del minimo Inps e rendendola cumulabile con l’assegno sociale. Sulle donne lo sconto contributivo proposto è di 6 mesi per figlio fino a un massimo di 2 anni e solo per quelle con i requisiti Ape sociale. Proposte meno onerose delle richieste sindacali e che solo con il varo del Ddl di Bilancio potranno essere confermate o ritirate.
22 settembre 2017