Un maxi concorso per la staffetta generazionale nel pubblico impiego. Con l’approssimarsi della stagione elettorale spuntano come funghi progetti (e promesse) che vogliono mettere mano alle grandi emergenze del Paese. Ieri è toccato al sottosegretario alla Pubblica Amministrazione, Angelo Rughetti (Pd), annunciare un piano che ingaggia tre questioni centralissime: disoccupazione giovanile, previdenza e, appunto, pubblica amministrazione. «Nei prossimi quattro anni avremo quasi 500mila persone che nel sistema pubblico andranno in pensione – ha detto Rughetti alla Festa dell’Unità di Roma -. Si tratta di un’occasione straordinaria per fare entrare i giovani». Il piano del governo punterebbe, secondo fonti dell’esecutivo citate dall’Ansa, ad «anticipare le uscite dei pensionati, fare un piano dei fabbisogni e un grande concorso per assumere i giovani». Rughetti è al lavoro sul progetto, quindi i dettagli sono in itinere: ma l’eventuale misura per anticipare parte dei pensionamenti sarebbe quella di una deroga alla riforma Fornero che, ricordiamolo, sta alzando fino a 67 anni l’età pensionabile. Più o meno quello che si fece proprio dopo l’approvazione della “Fornero” nel 2011: il governo Monti, che aveva varato anche una sostanziosa spending review, decise una deroga temporanea delle nuove norme previdenziali per i lavoratori della Pa, così da non ostacolare i risparmi indotti dai pensionamenti di anzianità dei travet.
Insomma, si allarga anche al pubblico impiego l’idea della staffetta generazionale da realizzare incrociando pensionamenti (magari anticipati) e assunzioni, una ricetta apparentemente lapalissiana (far uscire dal mondo del lavoro i più anziani e creare così spazio alla nuove leve) ma che in realtà è in rotta di collisione con gli equilibri economici del sistema previdenziale e, dunque, dei conti pubblici. Un cul de sac dal quale sembra impossibile uscire: allungare l’età pensionabile è necessario, infatti, a garantire la sostenibilità della previdenza delle nuove generazioni, ma paradossalmente essendo la disoccupazione giovanile a quote record , la pensione stessa è una specie di utopia.
Tornando al progetto di Rughetti, il sottosegretario ha parlato di una «grande scommessa da fare in questo momento perché la prossima Legge di Stabilità può essere uno strumento non solo dal punto di vista delle risorse, ma anche da quello metodologico». Due versanti che, d’altro canto, si sovrappongono come implicitamente evidenziato dallo stesso Rughetti quando ricorda che nella riforma del pubblico impiego è stato abbandonato il criterio del turnover tout court : «Sostituire il budget di uscita con una percentuale di entrata potrebbe significare buttare soldi. Bisogna che i datori di lavoro pubblici realizzino una grande analisi dei fabbisogni. Ci dobbiamo chiedere se servono medici, ingegneri informatici, progettisti. Se saremo bravi a programmare, porteremo nuova linfa, abbasseremo l’età media, apriremo ai talenti». Il sindacato non chiude all’idea della staffetta, ma con qualche dubbio: «È sacrosanta – sottolinea Michele Gentile, responsabile Cgil per la Pa – però un’operazione così presuppone una strategia. Come si fa a fare un maxi concorso che coinvolga amministrazione centrale, enti locali e altri settori? E poi è vero che la riforma Madia parla di fabbisogni, ma ferme restando le regole generali e dunque i blocchi e i vincoli per le assunzioni». (Repubblica – 17 settembre 2017)
In pensione il 20% degli statali: maxi-staffetta generazionale nella Pa
Negli uffici di ministeri ed enti locali italiani sta per manifestarsi in pieno la “gobba demografica” gonfiata dalla lunga stasi degli anni di crisi di finanza pubblica. Ma l’onda arriva alla vigilia del rinnovo dei contratti, in freezer dal 2010, e soprattutto dell’avvio operativo della riforma del pubblico impiego che prova a cambiare le regole su organici e assunzioni. Una congiuntura “ideale” per svecchiare organizzazioni e procedure, a patto di saperla cogliere. Proprio per questo anche in vista della manovra e dei decreti collegati si lavora a soluzioni per stringere i bulloni della riforma.
I numeri, prima di tutto. Secondo i calcoli della Funzione pubblica, riassunti dal sottosegretario di Palazzo Vidoni Angelo Rughetti, in quattro anni andranno in pensione 500mila dipendenti pubblici. Con le uscite per altre cause, dalle dimissioni ai passaggi al privato (25mila all’anno in media), il conto potrebbe salire fino almeno a 600mila “abbandoni”. In pratica, su un organico che dopo anni di dieta conta poco più di tre milioni di dipendenti (3.015mila secondo l’ultimo censimento del Tesoro), a imboccare l’uscita sarebbe il 20% del personale. «È un’occasione straordinaria per far entrare i giovani – riassume Rughetti – e la legge di bilancio può essere uno strumento per coglierla». Come?
Le idee
Le idee allo studio viaggiano sul sentiero già tracciato dalla riforma Madia, e fondato su due pilastri:?il primo è l’analisi dei fabbisogni, che dovrebbe sostituire la griglia rigida degli organici, con la definizione di spazi per le assunzioni differenziati a seconda dei profili professionali. Ieri è circolata anche l’ipotesi dell’anticipo delle uscite, ma appare una strada difficilmente percorribile. Nella pratica, oggi ogni ente può dedicare ai nuovi ingressi una spesa misurata in base ai risparmi prodotti dalle uscite:?il governo, d’intesa con la Conferenza unificata nel caso di Regioni ed enti locali, dovrà invece individuare in ogni ambito quali sono le competenze su cui investire di più e quali quelle meno strategiche, e su questa base articolare il via libera ai nuovi ingressi. L’obiettivo è di concentrare il reclutamento sulle figure più legate alle esigenze ignorate dai vecchi organici, a partire dalla digitalizzazione di servizi e procedure, e su quelle trascurate dai blocchi lineari del turn over nelle attività di prima linea con cittadini e utenti, dai servizi sociali ad alcune professioni sanitarie solo per fare qualche esempio. La riforma, poi, nel tentativo di fare ordine nel groviglio dei concorsi pubblici, e dei ricorsi che spesso li accompagnano, punta a proporre a tutte le amministrazioni il «concorso unico» già sperimentato dal 2013 per la Pa centrale.
Passare dalle strategie alla pratica non è semplice, anche perché il quadro cambia da settore a settore. Nell’attesa dei «fabbisogni», negli enti locali le maglie del turn over hanno già cominciato ad allargarsi, dopo che la manovrina di primavera ha triplicato gli ingressi possibili permettendo a tutti i Comuni (a patto di rispettare i vincoli di finanza pubblica) di dedicare a nuove assunzioni il 75% dei risparmi prodotti dalle uscite. Nell’amministrazione centrale, dai ministeri agli enti pubblici nazionali (tranne quelli di ricerca), il ricambio resta per ora ancorato al 25% anche per il 2018, ma dovrebbe salire al 100% dall’anno successivo. In un quadro come questo, già con le regole attuali è possibile stimare almeno 80mila nuovi ingressi nel 2018, al netto della scuola. Nel flusso dovranno entrare anche i circa 50mila precari “storici”, concentrati soprattutto negli enti territoriali, al centro del piano triennale di stabilizzazione in partenza da gennaio.
La quota più ampia di personale in uscita si incontra al centro della nostra Pa. Con l’eccezione del piccolo settore dei prefetti, i ministeri sono l’unico settore nel quale più di un dipendente su cinque ha superato i 60 anni di età. Gli over60 sono pochi meno nelle agenzie fiscali, tra i tecnici delle università (e fra i docenti andrà in pensione un terzo degli ordinari nei prossimi tre anni, secondo i calcoli del governo), mentre l’età scende negli enti che si sono potuti muovere più liberamente nella gestione del personale, come le Regioni autonome, e in quelli più “giovani” come le Autorità indipendenti.
Ma la riapertura ad ampio raggio delle assunzioni nella Pa deve fare i conti con la dinamica dei costi del personale pubblico che, interessi sul debito a parte, rappresentano l’unico aggregato di spesa corrente diminuito in questi anni in valore assoluto (dai 169,6 miliardi del 2011 ai 164,1 del 2016, con un -3,3% che diventa -7,2% contando l’inflazione del periodo). Certo, il costo medio dei nuovi ingressi sarà inferiore a quello di chi esce dopo decenni di anzianità, ma la questione si incrocia con il rinnovo dei contratti ormai in arrivo.
Anche di questo dovrà occuparsi la manovra:?per la Pa centrale, l’obiettivo di garantire 85 euro medi di aumento senza rimettere in discussione la geografia attuale degli 80 euro targati Renzi costa fino a 1,5 miliardi;?e copertura analoga andrà trovata in sanità, regioni ed enti locali. Proprio il nodo del personale, insomma, promette di accendere il confronto con gli amministratori locali sulla legge di bilancio. (Il Sole 24 Ore)
17 settembre 2017