È iniziato presto ieri il lavoro della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle ecomafie trasferitasi nel vicentino per approfondire il caso Pfas, le sostanze chimiche trovate fanghi della ditta Miteni di Trissino smaltite da decenni negli impianti della zona. I parlamentari guidati dal presidente Alessandro Bratti hanno iniziato la mattina con un sopralluogo alla Miteni, poi si sono trasferiti in prefettura a Vicenza per sentire i comitati di cittadini, investigatori, tecnici e tutti gli attori coinvolti dall’inchiesta. C’è stata grande attesa per l’audizione del procuratore capo di Vicenza Antonino Cappelleri, che ha messo uno dei pochi punti fermi sul caso Pfas: «Per chiudere le indagini ci vorranno almeno due anni», ha affermato subito dopo il colloquio, ribadendo che i tempi lunghi non sono dovuti alle indagini.
«Per orientare le ipotesi di reato – ha spiegato il procuratore – sarebbe molto utile avere una consapevolezza dell’indagine epidemiologica che sta svolgendo la Regione perché ci direbbe qual è stato l’esito concreto sul campione di cittadini esposti al rischio, purtroppo questa indagine, ci è stato detto, necessita di circa due anni di tempo, vedremo se possiamo in qualche modo essere più veloci». Un’affermazione, questa, che non piacerà ai comitati di cittadini. Dodici le associazioni che ieri hanno parlato per due ore davanti ai parlamentari. «Non compriamo più i prodotti del nostro territorio, perché crescono con l’acqua contaminata – ha spiegato Michela Piccoli, infermiera a capo di un’associazione di 1300 mamme che ha spiegato come sia cambiata la sua vita e quella di tutte le famiglie del vicentino – usiamo almeno 12 litri di bottiglie d’acqua per bere e cucinare qualsiasi cosa, è un anno che adottiamo questo sistema e i valori nel sangue continuano a crescere». Dura anche la relazione di Alberto Peruffo, «anima» degli ambientalisti che ha puntato il dito contro gli amministratori: «In tutti questi anni in troppi hanno minimizzato – ha detto – qualcuno deve prendersi la responsabilità di questo disastro ambientale che ha provocato l’avvelenamento collettivo di almeno 400 persone».
Il presidente della commissione Bratti, che oggi e nei prossimi giorni con i colleghi continuerà le audizioni, ha commentato così: «Si è partiti tardi, ma la procura sta procedendo bene, ora noi ci muoveremo perché le istituzioni la smettano di rimpallarsi le responsabilità». Intanto si pensa al nuovo acquedotto e a vari sistemi per portare acqua sana nella zona contaminata. Ma il problema è sempre il solito: chi pagherà?
Roberta Polese – Il Corriere del Veneto – 15 settembre 2017
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