È scattata la gara di solidarietà per tirare Roma fuori dalla maxi emergenza legata al diffondersi delle febbre da Chikungunya, malattia virale veicolata dalla zanzara tigre.
I volontari di grandi — Fratres, Cri, Avis e Fidas — e piccole associazioni si sono mobilitati per garantire l’approvvigionamento di sangue. Blocco delle donazioni in quasi metà della città, sud e est, e restrizioni nei restanti quartieri sono misure pesanti. Già mercoledì, subito dopo la circolare di Regione Lazio e centri trasfusionali, è partito un appello ai donatori periodici residenti al di fuori delle zone dello stop e nel resto del territorio nazionale: «Servono prelievi straordinari». Compatte negli aiuti le Regioni. Almeno 10 sono pronte con un piano di interventi: 850 le sacche in arrivo.
Esplicito il richiamo alla solidarietà di Aldo Ozino Caligaris, presidente di Fidas: «È una maxi emergenza equiparabile ad eventi drammatici come il terremoto di Amatrice. All’epoca, in poche ore la gente si precipitò per dare il proprio sangue, ci aspettiamo che accada lo stesso».
Il rischio è che, terminate le scorte, gli ospedali si trovino nell’impossibilità di somministrare terapie trasfusionali ai cittadini che arrivano al pronto soccorso in codice rosso. Non possono fermarsi né l’attività chirurgica né l’assistenza ai malati cronici dipendenti dalle trasfusioni. «Se la risposta solidale non è tempestiva e di massa si mette in pericolo la sanità di Roma», insiste Ozino.
La corsa agli aiuti è cominciata. Tutte le Regioni stanno organizzando il sostegno concreto al Lazio: Lombardia, Toscana, Emilia Romagna, Veneto, Calabria, Molise, Sicilia, Liguria, Marche e Trento. Parteciperà anche la Sardegna che pure ha un fabbisogno di oro rosso molto alto per le cure ai numerosi talassemici. Oggi saranno a Roma i rappresentanti delle associazioni per coordinare gli sforzi, annuncia il direttore del Centro nazionale sangue, Giancarlo Liumbruno.
I casi di Chikungunya accertati sono saliti a 27 e potrebbero aumentare. All’istituto per le malattie infettive Spallanzani sono in corso analisi su altri pazienti che potrebbero aver contratto il virus tramite la puntura di zanzare del tipo Aedes Albopictus , meglio conosciuta da noi come Tigre. Una segnalazione anche da Casinalbo, in provincia di Modena.
Gianni Rezza, direttore del dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità, è prudente: «Non basta un unico caso per sospettare la nascita di un focolaio». Per il momento non c’è intenzione di allargare lo stop delle donazioni ad altre Asl, rassicura il governatore della Regione Lazio Nicola Zingaretti: «Non ci sarà carenza di sangue». Si confida nell’efficacia della disinfestazione cominciata ieri su ordinanza della sindaca Virginia Raggi.
Un focolaio sicuro sono le polemiche e il rimpallo delle responsabilità fra chi doveva intervenire e non l’ha fatto con dovuta sollecitudine. Regione o Comune, quale dei due avrebbe dovuto far scattare l’allerta immediata subito dopo la conferma dei tre casi di Anzio? Era fine agosto e inizio settembre. La situazione è stata presa sotto gamba. Non si è stati in grado di valutare che le vacanze stavano per finire e i romani avrebbero fatto ritorno in città, incubando l’infezione trasmessa dalle zanzare, benigna ma insidiosa come la febbre influenzale. È mancata la comunicazione.
Una malattia tropicale a Roma è un fatto storico. Gli epidemiologici non ci avrebbero scommesso un euro. Anzio ha fatto forse meglio della Capitale nell’azione di contenimento sebbene anche lì l’amministrazione locale avrebbe dovuto allargare l’area della disinfestazione.
Margherita De Bac – Il Corriere della Sera – 15 settembre 2017