Dal Bo, il giornale dell’Università di Padova. A giudicare dai messaggi che ci giungono dai media, la ricerca in medicina veterinaria è quella che serve a produrre le crocchette più appetibili. Mangiandole, il cucciolo sarà felice e ripagherà il padrone con capriole e sorrisi. Il veterinario è un medico gentile, che vuol bene agli animali e li cura amorevolmente. Ma, a dirla tutta, non è che questa immagine comune deponga molto a favore dello spessore professionale e scientifico della categoria. Pensiamo poi a quanti articoli dedicati agli animali e alla loro intelligenza escono sui giornali, sulle riviste settimanali, persino sui mensili di approfondimento. Bene, se guardate con attenzione vedrete che il parere dell’esperto è spesso quello di un laureato in una disciplina che non ha nulla a che vedere con la medicina veterinaria. Qualche volta gli esperti sono allevatori o addestratori di animali. Veterinari? Mai, o quasi.
Ma i giornalisti e la televisione hanno ragione? La realtà è che la ricerca in medicina veterinaria ha basi molto più solide e scientifiche di quanto non venga riconosciuto nell’immaginario collettivo. Un esempio? Nei più recenti PRIN (Progetti di ricerca di Interesse nazionale) assegnati lo scorso autunno, l’università di Padova ha ottenuto successo con sei progetti nella categoria Life Sciences(che comprende Medicina, Farmacia, Psicologia, Biologia, Agraria e Medicina veterinaria). Di questi sei progetti, due sono stati assegnati a un dipartimento di area veterinaria. Se si fa la proporzione tra la numerosità dei docenti in quest’area e quella delle altre aree scientifiche biomediche afferenti alle Life Sciences, il numero di progetti ottenuti appare ancora più rilevante. Si pensi inoltre che i progetti di tipo veterinario finanziati in tutto il Paese sono stati solo tre e non a caso Padova è da anni al vertice delle classifiche del settore, come certificato anche dai recenti dati ANVUR.
Ma in concreto, che cosa studiano i veterinari a Padova? La ricerca è attiva in diversi settori. Molte acquisizioni sono state ottenute nel campo della biologia molecolare applicata alla diagnosi e cura di patologie tumorali animali, rilevanti per il loro aspetto comparativo con la specie umana. Altre ricerche sono state dirette allo studio del funzionamento delle aree cerebrali dei grandi erbivori, animali poco studiati per la loro complessità e difficoltà di approccio. Si pensi che la comprensione, almeno parziale, del funzionamento del sistema nervoso centrale di animali profondamente diversi da noi è la strada obbligata per arrivare a capire le basi biologiche del comportamento. E ancora molto è stato fatto in diversi settori clinici veterinari quali la cardiologia, la diagnostica per immagini, la chirurgia e la riproduzione degli animali d’affezione, nel campo delle malattie infettive dei volatili (con tutte le implicazioni relative alla loro trasmissibilità all’uomo), nella mangimistica, nella nutraceutica e molto altro ancora.
Oltre agli aspetti della ricerca biomedica più convenzionale ve ne sono altri altrettanto avanzati ma decisamente originali: nel campus di Agripolis sono attivi gruppi di ricerca che – agendo in stretto contatto con il ministero dell’Ambiente – si occupano di intervenire in caso di spiaggiamenti di balene e delfini lungo le coste italiane, con particolare riguardo agli spiaggiamenti di massa di più individui. In questi casi le implicazioni igienico-sanitarie sono notevoli, sia perché comportano problemi di gestione e smaltimento di rifiuti biologici di grandi dimensioni, sia perché questi eventi sono spesso associati all’uso di tecnologie dirette alle prospezioni geologiche del fondo marino o alle esercitazioni militari con uso di sonar che possono indurre gravissime patologie da decompressione alle specie che si immergono in profondità.
La medicina veterinaria non è fatta dunque solo di cani e gatti felici per la loro scatoletta, ma ha alle spalle un robusto background di grande rigore scientifico, competitivo e di rilievo.
Bruno Cozzi
14 settembre 2017