Secondo il diritto Ue, qualora non sia accertato che un prodotto geneticamente modificato possa comportare un grave rischio per la salute umana, degli animali o per l’ambiente, né la Commissione né gli Stati membri hanno la facoltà di adottare misure di emergenza quali il divieto della coltivazione, come fatto dall’Italia nel 2013. Lo ha stabilito la Corte di giustizia europea.
La sentenza emessa oggi riguarda il caso di Giorgio Fidenato, agricoltore penalmente perseguito nel nostro paese perché nel 2014 piantò mais ogm autorizzato dall’Ue nonostante un decreto interministeriale del 2013 ne vietasse la coltivazione. Quel decreto, afferma in sostanza la Corte, non era legittimo perché il ‘principio di precauzione’ deve basarsi sulla certezza dell’esistenza del rischio, altrimenti non permette di eludere o di modificare le disposizioni previste per gli alimenti geneticamente modificati, già oggetto di una valutazione scientifica completa prima di essere immessi in commercio.
Con una direttiva approvata nel 2015, i paesi membri possono vietare la semina di Ogm anche se autorizzati a livello Ue. L’Italia è tra i 17 Stati membri che hanno scelto questa possibilità.
La sentenza emessa dalla Corte di giustizia europea sul caso di un agricoltore del 2014 che si riferisce ad un quadro normativo ormai passato e del tutto superato. L’Italia – sottolinea la Coldiretti – è infatti tra la maggioranza dei Paesi membri dell’Unione che ha scelto di vietare la semina di Ogm sulla base della direttiva Ue approvata nel 2015.
“Nel 19983 – ricorda la Corte Ue in una nota che illustra i contenuti della sentenza – la Commissione ha autorizzato l’immissione in commercio di mais geneticamente modificato MON 810. Nella sua decisione, la Commissione ha richiamato il parere del comitato scientifico, secondo cui non vi era motivo di ritenere che il suddetto prodotto avrebbe avuto effetti pregiudizievoli per la salute umana o per l’ambiente”.
“Nel 2013 – prosegue la Corte Ue ricostruendo i fatti – il governo italiano ha chiesto alla Commissione di adottare misure di emergenza per vietare la coltivazione di mais MON 810 alla luce di alcuni nuovi studi scientifici realizzati da due istituti di ricerca italiani. Sulla base di un parere scientifico emesso dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), la Commissione ha concluso che non vi erano nuove prove scientifiche a supporto delle misure di emergenza richieste che fossero capaci di invalidare le proprie precedenti conclusioni sulla sicurezza del mais MON 810. Nonostante ciò, nel 2013 il governo italiano ha adottato un decreto che vietava la coltivazione del MON 810 nel territorio italiano”.
Nel 2014 il sig. Giorgio Fidenato e altri hanno coltivato mais MON 810 in violazione del citato decreto,ragion per cui sono stati perseguiti penalmente.
Nell’ambito del procedimento penale avviato a carico di queste persone, il Tribunale di Udine ha quindi chiesto, in particolare, alla Corte di giustizia se sia possibile adottare, in materia alimentare, misure di emergenza sul fondamento del principio di precauzione. Secondo tale principio, gli Stati membri possono adottare misure di emergenza al fine di scongiurare rischi per la salute umana che non siano stati ancora pienamente identificati o compresi in ragione di una situazione di incertezza sul piano scientifico.
Con l’odierna sentenza, la Corte esclude questa facoltà e sottolinea che “il principio di precauzione, che presuppone un’incertezza sul piano scientifico in merito all’esistenza di un certo rischio, non è sufficiente per adottare tali misure”.
“Sebbene tale principio possa giustificare l’adozione di misure provvisorie di gestione del rischio nel settore degli alimenti in generale – si precisa nella nota di sintesi sulla sentenza -, esso non permette di eludere o di modificare, in particolare rendendole meno stringenti, le disposizioni previste per gli alimenti geneticamente modificati, poiché essi sono già stati oggetto di una valutazione scientifica completa prima di essere immessi in commercio”.
La Corte rileva, peraltro, che uno Stato membro, quando ha informato ufficialmente la Commissionecirca la necessità di ricorrere a misure di emergenza e la Commissione non ha adottato nessuna misura, può adottare tali misure a livello nazionale. Esso può inoltre mantenere in vigore o rinnovare tali misure, finché la Commissione non abbia adottato una decisione che ne imponga la proroga, la modificazione o l’abrogazione. In tali circostanze, i giudici nazionali sono competenti a valutare la legittimità delle misure di cui trattasi.
“Sulla base di questa sentenza i consumatori saranno ridotti a vere e proprie cavie, sulla quali sperimentare se gli ogm fanno male o no. Per contrastare tale pericolosa assurdità mi auguro nasca un vasto movimento di popolo, composto da tutti coloro che hanno a cuore il valore della biodiversità e delle produzioni agricole tipiche”.
Con queste parole, il Presidente della Regione del Veneto Luca Zaia esprime tutta la sua contrarietà alla sentenza con la quale la Corte Europea di Giustizia ha dichiarato che la Commissione o gli Stati membri non hanno la facoltà di adottare misure come il divieto della coltivazione di prodotti ogm, se non è accertato che essi possano comportare un rischio grave per la salute umana, per gli animali, o per l’ambiente.
“Un grave assist alle multinazionali – incalza il Governatore – in un quadro generale nel quale il mondo scientifico è spaccato in due, tra chi valuta non pericolosi i prodotti geneticamente modificati e chi invece ne asserisce la rischiosità. Gravissimo è il danno che ne riceveranno l’Italia e il Veneto, rispettivamente con quattromilacinquecento e 350 prodotti tipici di alta qualità, che rischiano di essere spazzati via”.
“Rischiamo di essere tutti schiavi delle multinazionali, ed è purtroppo reale – aggiunge il presidente del Veneto – la prospettiva che, per coltivare uva senza semi non potremo più acquistare e coltivare il seme che la produce, ma dovremo comperare la piantina dalla multinazionale di turno”.
“Questo – conclude il governatore – è un lampante esempio di quell’Europa che non ci piace”.
13 settembre 2017