A inizio secolo il valore facciale annuale dei buoni pasto in Italia era di 800mila euro. Nel 2006 era già diventato di 2,3 miliardi di euro e i buoni finivano nelle tasche di 2,2 milioni di lavoratori. Poi il trend di crescita ha rallentato, probabilmente complice anche gli anni di crisi generale, ma ora siamo comunque a 3 miliardi di euro, circa 80mila aziende o soggetti pubblici che mettono i ticket in busta paga a 2,5 milioni di lavoratori che, a loro volta, possono utilizzarli in 120mila esercizi commerciali.
Da domani questo mercato potrà contare su regole un po’ più morbide e chiare. Infatti con l’entrata in vigore del decreto 122/2017 del ministero dello Sviluppo economico si ampliano le possibilità di utilizzo: oltre a bar, ristoranti, negozi e supermercati, i buoni pasto saranno spendibili presso agriturismi, ittiturismi, mercati e in tutte quelle attività di vendita effettuate direttamente dal produttore. Inoltre mentre finora, almeno sulla carta, si poteva usare solo un ticket alla volta, quindi per un valore massimo di 5,29 euro se il buono è cartaceo e di 7,00 euro se è elettronico, da domani è ufficialmente ammessa la cumulabilità fino a otto. Quindi via libera alla cassa del supermercato o al ristorante, dove magari oggi si poteva incappare in qualche, raro, avviso del tipo «si ricorda che per motivi fiscali è consentito utilizzare un solo buono pasto alla volta».
In realtà la normativa attuale non comporta alcuna sanzione, ma prevede la non tassabilità in busta paga del lavoratore del buono pasto riconosciutogli dall’azienda e utilizzato singolarmente in giornata lavorativa al posto del servizio mensa. Di conseguenza, se si paga uno scotrino del supermercato con due buoni la parte eccedente i 5,29 o i 7 euro potrebbe essere tassata a posteriori dal datore di lavoro. Operazione impossibile con i buoni cartacei in quando non tracciabili, teoricamente fattibile con quelli elettronici, ma in sostanza mai attuata.
La normativa che entra in vigore domani ha il pregio di prendere atto dell’utilizzo cumulativo ampiamente diffuso e di stabilire una soglia ragionevole di cumulabilità. Che proprio per questa caratteristica potrebbe essere rispettata.
Su questo fronte la partita è in mano agli esercizi commerciali, per i quali l’accettazione dei ticket costituisce un servizio alla clientela se non una vera e propria “arma commerciale” (accetto senza problemi qualunque tipo di ticket pur di sottrarre clienti alla concorrenza), ma comporta anche un costo non trascurabile.
Negli scorsi anni gli esercenti, soprattutto i più piccoli, hanno protestato spesso contro le condizioni commerciali da rispettare nei confronti delle società che emettono e gestiscono i buoni pasto. Infatti se il valore facciale è di 5,29 o 7 euro, l’esercente incassa fino al 20% in meno e con tempi di pagamento che in passato arrivavano fino a 8 mesi.
Il decreto del ministero dello Sviluppo economico interviene anche su questo fronte, stabilendo ad esempio il diritto per l’esercente di siglare solo un’offerta base, senza servizi e costi aggiuntivi, e prevedendo il rispetto del decreto legislativo 231/2002, quindi con la decorrenza degli interessi di mora per i pagamenti effettuati oltre 30 giorni dal termine (che può essere la semplice richiesta di pagamento) salvo diversa intesa tra le parti.
Matteo Prioschi – Il Sole 24 Ore – 8 settembre 2017