Avere un figlio consentirà alle donne di andare in pensione sei mesi prima. Ma solo a patto di rientrare nell’Ape social, il meccanismo appena partito che già permette di anticipare l’uscita a disoccupati, invalidi e lavoratori con disabili a carico. Il governo conferma la sua offerta (parziale) per rendere meno pesante l’innalzamento dell’età della pensione previsto nei prossimi anni. Le lavoratrici avranno uno sconto sugli anni di contributi necessari per utilizzare l’Ape social: sei mesi per ogni figlio, appunto. E fino a un massimo di due anni, cioè di quattro figli. Per le disoccupate gli anni di contributi richiesti scenderebbero da 30 a 28. Mentre per le lavoratrici che svolgono attività gravose, come le infermiere o le maestre della scuola materna o dell’asilo nido, passerebbero da 36 a 34. In questo modo le donne che potrebbero accedere all’Ape social quest’anno passerebbero da 11 mila a 15 mila.
È il minimo sindacale, dicono con una certa dose di autoironia gli stessi sindacati, al termine dell’incontro di ieri con il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Perché sul tavolo c’era, e c’è ancora, una proposta più avanzata. E cioè uno sconto sui contributi necessari per andare in pensione slegato dal meccanismo dell’Ape social. E quindi non limitato a disoccupati, invalidi e lavoratori con disabili a carico. Ma esteso a tutti, non solo alle donne ma anche agli uomini: in sostanza a tutte le persone che svolgono il lavoro di cura, e cioè l’assistenza di bambini o genitori con invalidità. Uno spiraglio è ancora aperto, anche se le probabilità sembrano in ribasso. Il governo ha chiesto ai sindacati di presentare una proposta prima del prossimo incontro, già fissato per mercoledì.
Nessuna risposta, invece, è arrivata sulla richiesta di ammorbidire i due scalini che a breve alzeranno ancora l’età della pensione. Sia quello che nel 2018 porterà l’asticella per le donne del settore privato a 66 anni e sette mesi, stessa soglia già prevista adesso per gli uomini. Sia quella che dovrebbe portare per tutti, donne e uomini, l’età a 67 anni a partire dal 2019 come effetto del l’adeguamento alla speranza di vita. Per chi la pensione ce l’ha già, il ministro Poletti ha «sostanzialmente confermato» l’impegno a tornare al meccanismo di rivalutazione degli assegni che c’era prima del 2012, quando venne bloccato l’adeguamento all’inflazione. Le vecchie regole — più generose anche se con la bassa inflazione di adesso non cambierebbe molto — tornerebbero nel 2019.
Freddini i commenti dei sindacati. Susanna Camusso (Cgil) dice che «non ci sono state risposte sulle risorse e quindi non siamo in grado di valutare la dimensioni degli interventi». «Quella del governo è una risposta parziale ai bisogni delle donne», secondo Annamaria Furlan (Cisl) che chiede uno sconto sui contributi per tutte le lavoratrici madri. Mentre Carmelo Barbagallo (Uil) parla della necessità di una «proposta più avanzata, rispetto a quella minimale arrivata dal governo». Per sostenere le richieste tutti e tre i sindacati stanno pensando a una manifestazione nazionale, da organizzare nei prossimi giorni.
Lorenzo Salvia – Il Corriere della Sera – 8 settembre 2017