dal Fatto quotidiano. Il governo ha perso il braccio di ferro con le Regioni sulle nomine dei manager della sanità pubblica. Così la scelta del direttore generale nelle Asl si conferma un intoccabile feudo dei parlamentini. Ad ottobre partirà al ministero della Salute il nuovo albo in cui saranno inseriti i nomi dei candidati alla gestione della sanità pubblica selezionati da una commissione ad hoc. Ma l’intesa fra governo e Conferenza Stato-Regioni, resa necessaria dal pronunciamento della Consulta, ha già azzoppato la mezza riforma della sanità pubblica promossa dal ministroMarianna Madia e definita “rivoluzionaria” dal ministro della salute Beatrice Lorenzin.
In seguito all’accordo con gli enti locali datato 6 aprile 2017, il legislatore ha infatti dovuto modificare il meccanismo di punteggio e selezione dei futuri dirigenti della sanità affidando un ruolo chiave ai governatori. Così il documento, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 18 agosto, è svuotato di significato. “Qui si cambia tutto per non cambiare niente – spiega Costantino Troise, segretario nazionale di Anaao Assomed, sindacato dei medici dirigenti del servizio sanitario nazionale – A dispetto dei buoni propositi enunciati, la nomina del direttore generale dell’Asl resta sempre una scelta saldamente nelle mani del potere politico regionale”.
Ma quali sono i compromessi che il governo ha dovuto accettare per ottenere il parere favorevole obbligatorio della Conferenza Stato-Regioni e far passare la riforma? Innanzitutto il legislatore ha dovuto abbassare la soglia di punteggio per l’ accesso all’elenco (da 75 a 70). Ha inoltre dovuto modificare il meccanismo di attribuzione dei punteggi preferendo l’esperienza ai titoli: nella prima versione del testo si stabiliva che, su un totale di cento punti, la commissione potesse attribuirne 50 per l’esperienza ed altrettanti per i titoli. Nel testo modificato, invece, le soglie massime diventano rispettivamente 60 e 40. Con il risultato che basterà un lunga carriera manageriale con una formazione base, in qualsiasi disciplina, per entrare nell’elenco. Quanto alla formazione, il testo chiede di certificare le capacità manageriali ma non la competenza in materia sanitaria. “La mancanza di una specifica conoscenza del complesso mondo della sanità pubblica è una grossa svista: per il legislatore basta una qualsiasi laurea, anche in discipline umanistiche, per diventare manager di strutture pubbliche che si occupando della salute dei cittadini – aggiunge Troise -. Per non parlare del fatto che, alla fine, la preferenza del legislatore va a un candidato con competenza manageriale capace di far quadrare i conti e di mantenere in piedi gli equilibri politici locali tradendo il preciso compito di tutela degli interessi dei cittadini”.
Infine, il nuovo testo non promuove affatto la trasparenza: le caratteristiche del potenziale candidato non verranno esplicitate nell’elenco ministeriale che riporterà solo i nominativi in ordine alfabetico, ma non il punteggio attribuito dalla commissione. Per il sindacato dei medici è una grossa pecca nel meccanismo di selezione di manager che, come ha ricordato il ministro Lorenzin, sono destinati a gestire i 113 miliardi della spesa sanitaria nazionale. “L’assenza di una graduatoria determina un effetto perverso: la politica potrà scegliere sempre il suo candidato internamente alla lista anche se è ultimo per punteggio e nessuno potrà dire nulla”, conclude Troise che lamenta la perduta occasione di spezzare il malsano legame che esiste fra nomine pubbliche della sanità e potere politico locale nell’interesse dei cittadini.
Il riassetto delle norme sulle nomine delle Asl rischia quindi di fare acqua da tutte le parti. Anche per via di un’altra modifica al testo originario della Madia nel processo selettivo e nel ruolo dei governatori. Originariamente la legge prevedeva un bando pubblico con una prima rosa di candidati da proporre al presidente della Regione previa selezione da parte di una commissione locale sostanzialmente indipendente rispetto all’ente. La commissione regionale doveva infatti essere composta da “esperti indicati da qualificate istituzioni scientifiche indipendenti, da un esperto designato dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali e da un esperto designato dalla regione”, come riferisce un’analisi del Servizio studi e documentazione degli Uffici del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Nella nuova versione, invece, “la commissione regionale è nominata dal presidente della medesima Regione, secondo modalità e criteri definiti da quest’ultima”. E sono soppressi i limiti minimo e massimo per la composizione numerica della rosa. Il governatore torna quindi centrale nel meccanismo di selezione del top management delle Asl. Con il risultato che il tentativo del governo di sganciare le nomine della sanità dalla politica regionale parte già sconfitto.
Il Fatto quotidiano – 25 agosto 2017